La sobrietà del 25 aprile significa memoria e rispetto
Caro Ministro Musumeci, cari lettori. La morte del Papa, di un così importante capo spirituale, di un uomo di cui si parlerà per decenni ancora, ha imposto il lutto nazionale, come è giusto che sia. Questo lutto sarà di cinque giorni e dunque attraverserà, perché così ha voluto il destino, la festa del 25 aprile, la celebrazione della Liberazione. È il giorno in cui l’Italia intraprese il faticoso percorso della democrazia, e speriamo sempre sia (davvero) la festa di tutti e non un motivo di divisioni e distinguo. Lei, ministro Musumeci, nel commentare la contemporaneità del lutto con la celebrazione di una festa nazionale, ha chiesto sobrietà nelle cerimonie. È giusto chiedere sobrietà in giorni di lutto, ma crediamo che sobrio debba essere sempre e comunque il modo di celebrare la Liberazione, e di fare memoria.Per questo, sobriamente e senza commento, proponiamo qui alcuni passi delle lettere che i condannati a morte della resistenza scrissero ai parenti più stretti prima di essere uccisi. Oro sono stati sobri pur in punto di morte, e così vorremmo che tutti fossero, quando ricordano quel periodo così drammatico e decisivo. Leggiamole insieme, e riflettiamo.
“Mimma cara, la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre gli zii che t’allevano, amali come fossi io. Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo. Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandoti. La tua infelice mamma”.
(Mirka Paola Garelli, 28 anni).
“Mamma adorata, quando riceverai la presente sarai già straziata dal dolore. Mamma, muoio fucilato per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il mio sangue non si verserà invano e l’Italia sarà di nuovo grande”.
(Achille Barillatti, 22 anni).
“Gianna, figlia mia adorata, è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per prima, in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te. Sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno. Non piangere mai per la mia mancanza, come non ho mai pianto io: il tuo Babbo non morrà mai. Egli ti guarderà, ti proteggerà ugualmente: ti vorrà sempre tutto l’infinito bene che ti vuole ora e che ti ha sempre voluto fin da quando ti sentì vivere nelle viscere di tua Madre. So di non morire, anche perché la tua Mamma sarà per te anche il tuo Babbo: quel tuo Babbo al quale vuoi tanto bene, quel tuo Babbo che vuoi tutto tuo, solo per te e del quale sei tanto gelosa.Vai sempre a fronte alta per la morte di tuo Padre”.
(Paolo Braccini, 36 anni)
“Carissimi genitori, non so se mi sarà possibile potervi rivedere, per la qual cosa vi scrivo questa lettera. Sono stato condannato a morte. Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all’Italia, nostra amabile e martoriata Patria. Voi potete dire questo sempre a voce alta dinanzi a tutti. Se muoio, muoio innocente. Vi prego di perdonarmi se qualche volta vi ho fatto arrabbiare, vi ho disobbedito, ero allora un ragazzo.Solo pregate per me il buon Dio. on prendetevi parecchi pensieri. Fate del bene ai poveri per la salvezza della mia povera anima. Vi ringrazio per quanto avete fatto per me e per la mia educazione. Speriamo che Iddio vi dia giusta ricompensa”.
(Antonio Brancati, 23 anni).
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