Politica

La sinistra faccia i conti con il neo socialismo nell’era dei disuguali

di Redazione -


di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO

Le società in cui viviamo sono segnate da diseguaglianze sempre più accentuate nelle posizioni economiche di potere, nei livelli di capitale e nelle situazioni di esistenza. Tuttavia, invece di dare avvio a processi sociali orientati a trasformare l’esistente, queste situazioni stanno generando apatia elettorale e un senso tangibile di inutilità dell’impegno politico. Si tratta di una circostanza per certi versi inedita. In passato, i grandi movimenti di lotta contro le ingiustizie sono sempre stati animati, già a partire dalla Rivoluzione francese, da immagini relative all’organizzazione della società futura. Oggi, invece, è come se fosse venuto a mancare qualcosa in grado di spingere l’immaginazione politica al di là dell’orizzonte immediato. In particolare, dopo il crollo dei regimi comunisti avvenuto nell’Ottantanove, è venuta meno la capacità delle utopie socialiste e comuniste di rappresentare come collettivamente trasformabile una realtà ingiustificabile in nome di una vita migliore. Le idee del socialismo, in altre parole, sembrano avere perso la loro spinta propulsiva.
In realtà, non è il socialismo ad avere perduto la sua forza di attrazione per i movimenti di lotta e di protesta che si battono per un futuro migliore, ma una sua specifica versione, quella ispirata al pensiero di Marx, che ha per lungo tempo rappresentato la forza egemone nel campo della sinistra. Ed è per questo che il socialismo, se vuole oggi continuare a essere un movimento all’altezza di un mondo che Marx avrebbe stentato a riconoscere, può essere rilanciato solo in una forma postmarxista. Ovvero, lasciando cadere i presupposti del pensiero marxiano che, alla luce delle vicende storiche a lui successive, si sono rivelati insostenibili.
Quali sono questi presupposti? Il primo è un certo fondamentalismo economicistico, per cui è la sfera economica a costituire il terreno d’azione fondamentale – anzi: pressoché l’unico – delle lotte per una libertà sostanziale. Ciò comporta almeno due conseguenze. La prima è che, in questo modo, la sfera della sovranità popolare democratica finisce per diventare un elemento secondario della riproduzione sociale. La seconda, che porta a distogliere lo sguardo da ciò che attualmente si sta rivelando decisivo, ovvero che i processi in atto sono determinati e resi possibili dallo sviluppo delle tecno-scienze, dallo sviluppo accelerato ed esponenziale dell’apparato tecnico-scientifico, e che ciò rende necessario adeguare le categorie politiche ai processi analizzati. Se si leggono i processi a partire dall’economico come struttura non si comprende la base epistemologica e il senso della trasformazione in atto.
Il secondo presupposto consiste nella tendenza a considerare gli orientamenti normativi come l’espressione delle specifiche condizioni di vita di una data classe sociale, nel senso che per Marx il socialismo contribuisce alla realizzazione cosciente di un interesse già presente nella società. Si tratta di una convinzione smentita dalla rivoluzione tecnologica che ha trasformato le basi stesse delle società occidentali e ha posto fine all’età del lavoro – seriale, monotono e ripetitivo – che stava alla base della socializzazione, e che oggi appare frantumato dal moltiplicarsi delle differenze e delle soggettività. Il terzo riposa infine sulla convinzione che la necessaria vittoria del movimento di opposizione esistente vada inscritta nel quadro di una filosofia della storia ispirata al principio di una necessità storica, per cui i rapporti di produzione esistenti sono destinati a scomparire per effetto delle loro contraddizioni interne.
Marx è figlio della Rivoluzione industriale ma, così come è esistito un socialismo prima di Marx e dopo di lui, così il socialismo dovrà essere, se vuole continuare a rappresentare un ideale di emancipazione e libertà, all’altezza delle sfide del nostro tempo, rappresentate dal modello che si è imposto con la iperglobalizzazione neoliberale a partire dagli anni Novanta e dalla concentrazione oligopolistica dei poteri che ne è derivata, da un lato, e dallo sviluppo esponenziale dell’apparato tecnico-scientifico, che tende al proprio autopotenziamento a prescindere da qualsiasi scopo e rispetto al quale gli esseri umani tendono a ridursi al rango di semplici funzionari, dall’altro.

Più ancora che nel richiamo ai movimenti sociali, le istanze normative che il socialismo cerca di far valere nelle società moderne dovrebbero essere individuate nelle conquiste istituzionali raggiunte grazie allo Stato democratico e sociale di diritto. E ciò significa rinunciare all’idea che la sola libertà che conta sia quella che si realizza nella sfera economica; che i diritti civili e umani promossi dalla Rivoluzione francese non abbiano un valore almeno altrettanto emancipativo; che il legame tra mercato e capitalismo sia un’unità immodificabile, e non qualcosa di trasformabile e in costante mutamento. E affermare, invece, che all’abbandono della visione ormai superata di una società governata unicamente dall’economia deve corrispondere l’idea che le aspettative di libertà devono essere soddisfatte, oltre che nei rapporti di produzione, anche rispetto alle relazioni personali e alle possibilità di dare sostanza a una forma di vita autenticamente democratica, creando in questo modo le condizioni per quell’auspicato terreno d’incontro con il liberalismo progressista capace di contrastare i populismi regressivi che affollano la scena apolitica.

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