Attualità

La sfida della modernità: cambiare per diventare noi stessi

di Redazione -


La sfida della modernità: cambiare per diventare noi stessi
di LINDA DE ANGELIS, Psicologa Clinica

Il momento storico che stiamo attraversando ci sta sottoponendo ad un generale senso di imprevedibilità e agli effetti di una cultura violenta e narcisistica che pervadono le nostre vite, mettendo a dura prova il senso di fiducia nel futuro individuale e sociale.

Ora più che in passato, sembra necessario sviluppare quelle risorse personali che possano consentirci di reagire in maniera funzionale e resiliente agli eventi, per affrontare efficacemente le sfide a cui siamo costantemente sottoposti e che diffondono un innegabile senso generalizzato di confusione e di smarrimento.

Già la vita, nello scorrere del tempo, ci mette ciclicamente a confronto con le nostre risorse, – o con la loro mancanza – quando si presentano eventi che impattano in maniera più o meno diretta e significativa su noi stessi, sulle nostre famiglie e sulla nostra quotidianità, ma anche fornendoci la possibilità, per chi riesce a coglierla, di intravedere in questi momenti di crisi l’opportunità di compiere dei veri e propri salti evolutivi.

È possibile sviluppare un’attitudine che ci consenta di continuare ad avanzare in maniera costruttiva e resiliente, indipendentemente da quello che ci capita, attribuendo significati nuovi e costruttivi agli eventi anche più difficili e dolorosi?

Quali sono le risorse su cui investire che possono permetterci di forgiare le nostre personalità in questa direzione?

In psicologia, esistono molte teorie e prospettive psicologiche relative al potere che potremmo definire di autodeterminarci, di accedere alle nostre risorse, di comprendere quali siano i nostri reali bisogni e valori ed allineare le nostre vite e il nostro modo in cui le percepiamo in base ad essi, ma occorre una reale motivazione, perché senza la scintilla che ne avvia il motore, il cambiamento resta un processo illusorio e un’ambizione ingenua.

Occorre scegliere in maniera deliberata di “cambiare le cose”, di confrontarci con i nostri condizionamenti e le nostre credenze limitanti che ci confinano in situazioni di sofferenza, di assumerci la piena responsabilità di guardarci allo specchio rispetto a chi siamo veramente senza maschere.

Come diceva Carl Jung, questa è la prima prova di coraggio nel percorso interiore, rispetto alla quale la maggior parte delle persone arretra spaventata, a volte per l’intera durata della propria esistenza, finendo col rinunciare a quel potenziale illimitato cui potrebbe accedere, se solo si guardassero le cose da una prospettiva diversa.

Lo psicologo statunitense Carl Rogers parlava di un’energia interiore, la chiamava “tendenza attualizzante”, con essa intendendo quella spinta vitale innata, presente in ognuno di noi – tutti – tale da farci tendere, come esseri umani, verso il naturale sviluppo delle nostre potenzialità e dunque verso l’avvio del nostro personale cambiamento.

La Teoria dell’Autodeterminazione (Deci e Ryan, 1985) prende avvio dal presupposto che la natura umana, se inserita in un ambiente supportivo, tende verso la realizzazione delle proprie potenzialità, in particolare attraverso il soddisfacimento di tre bisogni psicologici innati e dunque presenti in ognuno di noi: la Competenza, relativa alla relazione con l’ambiente e alla capacità di imprimere effetti positivi attraverso le nostre azioni; l’Autonomia, che si estrinseca nella capacità, da un punto di vista psicologico, di compiere scelte in maniera autonoma, senza subire imposizioni e in coerenza con la nostra personale identità; la Relazionalità, che fa riferimento alle competenze nel co-creare relazioni sociali, di sentirci parte di un gruppo e di un ambiente in cui si riesca, anche e per mezzo di relazioni sane e funzionali, a realizzare i nostri obiettivi.

A che punto sentiamo di essere rispetto al soddisfacimento di questi bisogni?

Erich Fromm scrisse che “il compito principale nell’esistenza di ognuno è quello di dare alla luce sé stesso”, che potremmo intendere come il raggiungimento di un livello di benessere psicologico e di autorealizzazione tali, da riuscire a trovare lo scopo della nostra vita, manifestare la nostra vera assenza, trovare il nostro posto e la nostra funzione nel mondo, collegandoci agli altri e orientando le nostre scelte verso ciò che vogliamo davvero, o perlomeno senza ritrarsi anche solo dal provarci.

Simili processi psicologici concorrono a “centrarci”, a metterci in connessione con noi stessi sul piano di un equilibrio personale che riconosce, rispetta e risponde in primis a chi sentiamo di essere veramente, e non già alle richieste di una società competitiva e narcisistica, che abbaglia con la promessa di una felicità in definitiva basata sul sentirsi importanti sulla pelle degli altri, follemente misurata in termini di post e di like, come la terribile vicenda di Palermo conferma.

Perché mentre veniamo risucchiati come in un vortice dai meccanismi perversi del nostro tempo, finiamo per scollegarci da noi stessi, dagli altri e dal mondo, scompaginando quei legami sociali, che invece rappresentano la condizione di base e il fine ultimo della nostra rivoluzione umana e sociale.

 

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