Il racconto, la narrazione. La chiave è tutta qui. Altro che politica. Dopo esserne stata vittima per una vita, accompagnata da piacevolezze tipo “borgatara” o “ritardata” (copyright Oliviero Toscani), fino allo stigma “postfascista”, Giorgia Meloni ha deciso, una volta seduta sulla scomoda poltrona di Palazzo Chigi, di giocare tutto sul racconto. Sulla comunicazione. Non tanto e non solo ai media, che utilizza con parsimonia e con una certa “berlusconiana” predilezione per le testate vicine, quanto ai colleghi leader dei Paesi europei. Scegliendo l’empatia come tratto distintivo di un’azione politica che l’ha portata, dopo la campagna d’Africa, a volare in un giorno solo in Svezia e Germania, con un occhio a Parigi, dove continuano ad accreditarla di una visita a Macron prima del Consiglio europeo della prossima settimana.
Anche ieri, come in altre circostanze, la strategia è stata chiara fin dalle prime dichiarazioni rese nell’affrettato punto stampa di Stoccolma, con un piede sulla scaletta dell’aereo che l’avrebbe portata a Berlino. “Devo dire – ha ammesso affrontando il tema migranti – che di fronte al racconto di quel che viviamo ogni giorno e anche del lavoro che sta facendo l’Italia, soprattutto per quel che riguarda il nostro protagonismo nel Nord Africa, con Kristersson non ho trovato grosse distanze”. E sì che la Svezia è da annoverare tra i paesi che non vogliono cambiare le norme attuali. Non solo. Nelle settimane scorse il rappresentante permanente di Stoccolma a Bruxelles, Lars Danielsson, in un’intervista al Financial Times, aveva detto apertamente che il nuovo patto migratorio non vedrà la luce durante la presidenza svedese: “Ci si arriverà non prima della primavera del 2024”. Da qui la decisione di raccontare gli sforzi quotidiani dell’Italia al leader di un Paese che ha appena assunto la presidenza di turno del Consiglio europeo – e quindi presiederà il summit del 9 e 10 – e si è insediato al governo proprio negli stessi giorni in cui Meloni prendeva possesso di Palazzo Chigi. Un modo efficace per conquistare un nuovo amico influente in un consesso europeo piuttosto ostile.
Altro giro, altro volo, stesso copione. Stavolta è toccato a Olaf Scholz, il Cancelliere tedesco, ascoltare dalla viva voce di Giorgia Meloni le ragioni dell’Italia. Qui il motivo del contendere è il nuovo regolamento degli aiuti di Stato. La Germania è favorevole all’allentamento dei vincoli europei, così potrà continuare a sostenere le proprie imprese per il 50%, mentre l’Italia, gravata da un pesante debito, può farlo solo per il 4,75%. Colloquio tutto in salita, dunque. Ma in questo caso la nostra ha usato un’espressione non priva di appeal: “interconnessione economica”. La Germania è il primo partner economico dell’Italia, con 144 miliardi di euro annui di interscambio nel 2021 e 140 miliardi di euro tra gennaio e ottobre del 2022. E le Confindustrie italiana e tedesca collaborano fattivamente da anni. Un patrimonio che, ha fatto capire Meloni a Scholz, non vale la pena disperdere in una guerra di posizione tra due Paesi fondatori di un’Unione che già scricchiola per suo conto.
Quindi, in soldoni: fondo sovrano finanziato con debito europeo, flessibilità su Pnrr e fondo di coesione. Basta poco, d’altronde. Col sorriso, senza digrignare i denti. E facendo dire ai tedeschi: “Questa Meloni sorprende…”