Giustizia

La rivolta delle toghe rosse contro il governo Meloni

di Rita Cavallaro -


La magistratura avvia ufficialmente la rivolta contro il governo. E approva all’unanimità una mozione contro il ddl Costituzionale, la riforma che prevede, tra l’altro, la separazione delle carriere e il restyling del Csm, due provvedimenti chiave che minano lo strapotere delle correnti, quelle che Silvio Berlusconi, l’italiano più perseguitato dalla giustizia, definiva “braccio armato della sinistra”. Il documento finale, firmato dai 700 presenti all’assemblea straordinaria dell’Associazione nazionale dei magistrati, è un manifesto di lotta politica, che fa cadere la maschera sulle finalità dello scontro ingaggiato, ormai da mesi, dalle toghe rosse con il governo Meloni, che ha visto l’apice nella bocciatura del modello Albania, il piano per il contrasto all’immigrazione clandestina che piace all’Europa ma che, al momento, è al palo per l’impossibilità del Viminale a trattenere nel centro i richiedenti asilo provenienti dai Paesi sicuri. Un braccio di ferro che ha toccato il vertice della tensione con la mail del giudice Marco Patarnello, che definiva la premier Giorgia Meloni più pericolosa di Berlusconi, perché non agisce per un salvacondotto, ma sulla base di una visione politica in grado di indebolire la giurisdizione. Poco conta che la fiducia degli italiani nel potere giudiziario sia ai minimi storici da tempo e che gli stessi magistrati non sembrano nemmeno tentare una sorta di pacificazione sociale, visto che non solo non pagano per i propri errori, ma sono contrari perfino a una giornata di ricordo delle vittime della loro malagiustizia. Sebbene le toghe rosse abbiano cercato di celare dietro la libertà di espressione quella che appare una battaglia politica, in barba al mantra che un giudice oltre ad essere imparziale deve pure apparire tale, ora il piano della magistratura è venuto alla luce, con la mozione dell’Anm. L’associazione delle toghe esprime “un giudizio fortemente negativo sulla riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario” che “produrrà solo effetti negativi per i cittadini” e dalla quale “emerge un disegno di indebolimento delle garanzie e dei diritti dei cittadini”, si legge nel documento. “La separazione delle carriere non risponde ad alcuna esigenza di miglioramento del servizio giustizia”, proseguono i magistrati, “ma determina l’isolamento del pubblico ministero, mortificandone la funzione di garanzia e abbandonandolo ad una logica securitaria, nonché ponendo le premesse per il concreto rischio del suo assoggettamento al potere esecutivo. In definitiva, è una riforma che, stravolgendo l’attuale assetto costituzionale e l’equilibrio tra i poteri dello Stato, sottrae spazi di indipendenza alla magistratura, riducendo le garanzie e i diritti di libertà per i cittadini”. E poco conta che il Guardasigilli Carlo Nordio abbia precisato che separare il percorso della magistratura requirente da quella giudicante non vuol dire sottomettere un potere indipendente al governo. Senza contare che la riforma della giustizia è nel programma del centrodestra e che è l’indicazione del voto popolare. Per il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, la riforma rappresenta addirittura uno “strappo” e non “una nuova trama del tessuto costituzionale”, il cui fine sarebbe “la frammentazione come strategia di indebolimento sia del Csm che della magistratura e della sua esperienza associativa”. In questo fantascenario catastrofico, e ancora prima di leggere i testi della riforma, la magistratura lancia “una mobilitazione culturale” che si concretizzerà in diverse iniziative, come “l’immediata istituzione di un comitato operativo a difesa della Costituzione aperto all’avvocatura, all’università, alla società civile, indipendente da ogni ingerenza politica, anche in vista di una possibile consultazione referendaria, per far conoscere alla cittadinanza i pericoli derivanti dalla riforma”. E ancora “l’organizzazione di almeno una manifestazione nazionale da svolgersi in un luogo istituzionale significativo subito dopo l’eventuale approvazione in prima lettura della proposta di riforma”. Infine “l’indizione, in relazione all’iter parlamentare di discussione della riforma, di una o più giornate di sciopero per sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli della riforma”. E che non si dica che le toghe rosse fanno politica.


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