La rincorsa a destra
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di EDOARDO SIRIGNANO
Il De Bello Gaio, il libro scritto dal generale Vannacci, che si è autodefinito nipotino di Giulio Cesare è solo un mantello dell’invisibilità. Come il telo magico della saga di Harry Potter, infatti, tende a celare una tendenza più nascosta, di quelle che non possono o non dovrebbero mai venire alla luce. Stiamo parlando di un mal di pancia interno al partito della Meloni. Ci riferiamo ovviamente a quella destra storica che non si ritrova con la svolta europeista-atlantista voluta dalla prima inquilina di Palazzo Chigi. Da tempo, d’altronde, è chiaro come si stia muovendo qualcosa agli estremi della politica nazionale.
A maggior ragione, in un contesto, dove le opposizioni sembrano contare poco e in cui la sinistra ha difficoltà a trovare un “appeal perduto”. A parte il tradizionale recinto progressista, quindi, c’è più di qualcuno che inizia a pensare che l’unica opposizione alla premier possa nascere in casa propria. L’idea è appunto quella di sfruttare la rincorsa dell’onorevole della Garbatella agli States, a quelli che in certi ambienti vengono chiamati apparati, per far partire la classica congiura di palazzo. Come la storia romana insegna, però, non tutte le operazioni di tale natura hanno esito positivo per chi le avvia. Anzi, spesso come un boomerang tornano indietro e si ripercuotono su chi le lancia.
Una cosa è certa, però, l’inattesa uscita di Vannacci, come la classica goccia che fa traboccare il vaso di Pandora, ha messo alla luce del sole le divergenze che da tempo esistono nel principale partito italiano. Come lascia intendere Alemanno in un’intervista, il programma di Meloni, ormai non più urlatrice di piazza, ma aspirante statista, cozza con quel mondo che ha sempre visto il liberismo, l’europeismo e una politica troppo accondiscendente verso determinate lobbies come il nemico da combattere. Il cosiddetto anti-sistema è sempre esistito in Italia, anche nel Paese del Vaticano. Per tale ragione, chi sa organizzare il consenso e magari non trova spazio nell’ormai saturo FdI, prova ad aggregare, magari in ottica Bruxelles, altrove.
Il problema, bensì, è che quando si mettono insieme forze, in tempi brevissimi, si può anche mettere fondere tutto e il contrario di tutto. Ci possono essere intellettuali, come ad esempio il filosofo Zhok, ma anche attivisti di strada, trombati e via dicendo. Non c’è solo Campo Sud di Marcello Taglialatela o gli ex fedelissimi di Fini guidati da Fabio Granata, ma potrebbe esserci pure qualche frangia eversiva, che sarebbe meglio mettere in disparte sin dal principio.
I pericoli, comunque, riguardano anche l’altra parte, ovvero quella che per allinearsi al Ppe rischia di perdere troppi pezzi per strada o di creare tendenze pericolose. Un esempio è un’eventuale vittoria di Trump negli Usa. Nel caso in cui tornasse a rivincere il conservatore, quell’America certamente non guarderebbe di buon occhio chi ha fatto gli inchini a Biden. Lo sa bene il Salvini di turno, che dall’atteggiamento da pecorella smarrita dei primi giorni di governo, è tornato a ruggire quando ha intravisto un nuovo possibile spazio per populismi vari.
Giorgia al bivio
Per tale ragione, il prossimo autunno si prepara ad essere una fase di studio e manovre all’interno di una maggioranza, che rischia di essere schiacciata dal suo passato e dalla possibile nascita appunto di un nuovo soggetto politico più a destra della Meloni. Se la sinistra non muove una foglia, le lotte di Colle Oppio potrebbero essere un problema per chi, sfruttando quel mondo oltre l’Msi, che non è riuscito mai a raggiungere percentuali degne di cronaca, potrebbe invece aprire una voragine interna in grado di diventare molto insidiosa per chi ha poco tempo per sedare ogni singolo mal di pancia. I problemi del Paese sono tanti, peggio ancora poi gli impegni all’estero. Una cosa è certa, il futuro di Giorgia appare essere a un bivio o meglio ancora innanzi a due strade.
La prima è che la leader romana diventi subito la nuova Merkel, in un’Europa che nei fatti non ha grandi riferimenti. Così, comunque, toglierebbe la spina a quel mondo che l’ha creata e che aveva tutt’altri programmi. La seconda via è che l’imbattibile Meloni di regionali e comunali venga sopraffatta da quei soggetti che le hanno consentito l’ascesa prima di diventare grande, ovvero quella destra di piazza. Il populismo, nell’Italia dell’inflazione, degli aumenti legati a causa della guerra pagata dalla Nato, infatti, potrebbe lasciare delle praterie per forze populiste, che fino a ieri non avevano neanche uno spazio utile alla sopravvivenza.
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