La rabbia e le testimonianze dei lavoratori dopo la strage di Brandizzo
Ieri centinaia di lavoratori hanno raggiunto la provincia piemontese per rendere omaggio ai cinque operai che nella notte tra mercoledì e giovedì sono morti mentre stavano lavorando sui binari nei pressi della stazione di Brandizzo. “Non abbiamo più parole”: questa la scritta che campeggiava all’inizio del corteo seguito da duemila persone con il lutto al braccio.
A Brandizzo per manifestare per la sicurezza
E questo il sentimento che coinvolge lavoratori e sindacati che si sono uniti nel ricordo e nella protesta contro la piaga delle morti sul lavoro che, raccontano, sono arrivata a oltre 20mila negli ultimi anni. Una piaga, denunciano, per cui dai governi che si sono susseguiti negli anni nulla è stato fatto. A dare voce alla rabbia dei lavoratori, il segretario della Cgil Maurizio Landini, presente in prima linea al corteo: “Tutto ciò che è stato fatto fino adesso sono chiacchiere. La logica che è passata in questi anni è la logica del mercato e del profitto. Quel che sta avvenendo ci porta la necessità di ripensare il sistema della manutenzione che è da rivedere, pensiamo alle autostrade e ai cantieri. Abbiamo bisogno di spendere miliardi. Bisogna cancellare la legge folle che il governo ha fatto per liberalizzare il subappalto, serve una procura nazionale per la sicurezza”. Ed è proprio sulla sicurezza dei lavoratori che si è ampliato il dibattito tra sindacati e politica e non solo: anche le indagini, a carico della Procura di Ivrea, ruotano attorno alle responsabilità e alle misure di sicurezza che dovevano essere messe in atto. Gli iscritti sul registro degli indagati, ad ora, sono i due superstiti alla tragedia di Brandizzo: si tratta di Antonio Massa, tecnico di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) e addetto al cantiere in cui lavoravano gli operai – e che sembrerebbe essere nella posizione più delicata -, e Andrea Girardin Gibin, capocantiere dell’azienda appaltatrice Sigifer incaricata dei lavori di manutenzione.
Strage di Brandizzo: le ricostruzioni
Ad anticipare le responsabilità era stata la stessa Rfi, che nel comunicato a seguito dell’incidente aveva specificato che non solo il passaggio del treno era previsto e consentito, ma anche che per l’inizio dei lavori e del cantiere era necessario un “nulla osta”. Proprio sulla dinamica dell’incidente si stanno concentrando le ricostruzioni della Procura: c’è da capire tra orari anticiparti di lavoro, indicazioni non date e comunicazioni lasciate al caso, in quale parte della catena di comando sia avvenuto il fatale “errore”. Secondo le prime indiscrezioni sembrerebbero esserci stati uno o più errori e omissioni nelle procedure di autorizzazione all’avvio dei lavori e, in particolare, del cosiddetto modulo M40 per il via libera del cantiere. Una mancanza di comunicazione o un’incuranza dell’iter di sicurezza, che potrebbe essere spiegata da alcune testimonianze che nelle ultime ore sono emerse da parte di ex colleghi e lavoratori.
Secondo i racconti, l’avvio dei lavori in anticipo (prima del termine delle corse dei treni) era consuetudine. Ad essere ascoltato dalle Pm Valentina Bossi e Giulia Nicodemo è un ex operaio della Sigifer di Borgo Vercelli, Antonio Veneziano. “Era frequente avviare i lavori in anticipo, specialmente quando sapevamo che un treno era in ritardo” racconta l’operaio. “In molte occasioni in cui ho lavorato lì, quando sapevamo che un treno era in ritardo, anticipavamo l’inizio del lavoro. In altre parole, quando dovevamo effettuare una regolazione, come il restringimento del binario, che richiedeva l’intervento di un convoglio previsto in orari non corretti, iniziavamo i lavori. Svitavamo i chiavardini – i dispositivi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno – e successivamente, poco prima del passaggio dei convogli, venivamo rimossi dalla traccia. Solitamente, eravamo sei o sette persone in ogni gruppo, ma in queste situazioni, c’era sempre qualcuno che sorvegliava la situazione. Tuttavia, nella tragica notte recente, la situazione è stata diversa, poiché tutti erano sulla massicciata”. Forse un modo per guadagnare tempo, forse un modo per risparmiare sulla diaria degli operai, o ancora un modo per rispettare una tabella di marcia dagli orari stringenti.
Tuttavia, è sull’iter di sicurezza che le testimonianze devono far riflettere. Altri colleghi raccontano che “si inizia a lavorare quando il capo ci dice verbalmente che possiamo farlo, e questo avviene non quando arriva un documento formale, ma quando i treni hanno cessato di passare. Questo è un comportamento diffuso tra tutti noi.” Diffuso tra i colleghi di Sigifer, ma non è chiaro se Rfi fosse a conoscenza di questa pratica. Saranno le indagini a chiarire sia le dinamiche che la motivazione, attraverso una capillare ricostruzione degli eventi, basata sulle registrazioni delle telefonate, che vengono poi confrontate con gli orari in cui le telecamere della stazione registrano la presenza degli operai sui binari. Inoltre, saranno valutati anche i dispositivi di sicurezza presenti sulla linea per capire quale catena di eventi abbia causato la tragedia.
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