Attualità

“La partecipazione non si improvvisa”, il monito del Papa

di Andrea Canali -


Si può considerare significativa la presenza di Papa Francesco a Trieste – avvenuta domenica scorsa – per incontrare i partecipanti della 50ª edizione delle Settimane sociali dei cattolici in Italia. Il Santo Padre è stato accolto dal Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, insieme ai massimi vertici civili ed ecclesiastici sia cittadini ma anche regionali e nazionali. Dopo aver esordito che la prima volta che ha sentito parlare di Trieste è stato da suo nonno che aveva fatto il ‘14 sul Piave il Pontefice, nel suo discorso, parla agli oltre mille delegati presenti, affrontando il tema centrale di questa edizione che vede protagonisti tutti i cattolici in Italia affermando: “Questa è stata la 50esima Settimana Sociale. La storia delle “Settimane” si intreccia con la storia dell’Italia, e questo dice già molto: dice di una Chiesa sensibile alle trasformazioni della società e protesa a contribuire al bene comune. Forti di questa esperienza, avete voluto approfondire un tema di grande attualità: “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”, commenta subito il Pontefice, aggiungendo che “nel mondo di oggi la democrazia non gode di buona salute”. “Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo”, evidenzia Francesco. “In Italia è maturato l’ordinamento democratico dopo la seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure l’esperienza delle Settimane Sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”. Queste le parole del Pontefice espresse nella struttura del Centro Congressi di Trieste situato sul mare.
Prosegue il Santo Padre: “Come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e Nazioni, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo”. Bergoglio, di seguito, fa un invito bello e profondo con il cuore dicendo: “La crisi della democrazia come un cuore ferito. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore infartuato, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi”, dice Papa Francesco. “La partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”, raccomanda Papa Francesco. “Certe forme di assistenzialismo non riconoscono la dignità delle persone sono, quindi, ipocrisia sociale. E l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare”, dichiara il Papa a Trieste.
“A me preoccupa il numero ridotto delle persone che devono andare a votare, cosa è quello? Le ideologie seducono, ma ti portano a negarti”, dice il Papa a braccio. Ma “affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato” occorre “esercitare la creatività”. “La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo”, ribadisce Francesco il quale conclude con un invito: “Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili. Appassioniamoci invece al bene comune. Dobbiamo riprendere la passione civile, dobbiamo conoscere il popolo, il politico può essere come un pastore. Abbiamo il coraggio di avviare processi”, conclude il Papa.
Quindi il monito è di avere una buona politica e di servizio (altro che non expedit), orientata al bene comune, come la più alta forma di carità (concetto espresso già da Paolo VI).


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