La nuova élite giudiziaria: il potere nelle mani della Magistratura
Pochi giorni or sono la penna di Marcello Veneziani ha scritto una provocazione sul ruolo delle élite, reinnescando la discussione su questo tema. In questa sede ovviamente il discorso può avere solo una prospettiva giuridico – sociale, ed in quest’ottica si propone di distinguere le élite politiche, da quelle economiche e soprattutto, appunto, da quelle giudiziarie. Nel campo politico, la tradizionale denuncia di una eccessiva distanza tra cittadini e palazzo sembra infatti meno fondata che in passato. A parere di chi scrive, la realtà è nel senso di non riuscire più ad individuare una concreta separazione, né soluzione di continuità, tra governanti e governati.
L’appiattimento sociale e l’esagerazione del politicamente corretto hanno sostanzialmente annullato tutte le differenze anche tra chi è capace di governare e chi non lo è, ovviamente senza alcun riferimento al governo in carica. E tra le tante interpretazioni possibili, saranno qui scartate tutte quelle moraliste per privilegiare quella delle paure, delle responsabilità. Le élite, in altre parole, scappano e si ritrovano, nonostante ogni sforzo, legate e imbavagliate. Come i sindaci ed i Presidenti di Regione non riescono a firmare i loro atti perché hanno paura dell’assurdità del funzionamento dei cosiddetti controlli di legalità, che hanno finito per coincidere con un delirio giustizialista, così molti possibili candidati rifiutano di scendere in campo per paura delle azioni di disturbo della magistratura che vanno ad incidere su ogni possibile forma di finanziamento lecito dell’attività politica. Rimangono allora la passione e la scelta valoriale. Coerentemente con l’ispirazione di questa testata, ci si rivolge alle nuove élite, quelle fondate sulla vocazione politica, l’appartenenza identitaria, la volontà di sacrificarsi e combattere per portare avanti i propri ideali, nonostante tutto. Una forza ancora di pochi, che sarà di molti.
Il discorso cambia, quando pensiamo all’élite economica che, a parte il caso di Berlusconi, è distante, soprattutto nella capitale, dai poteri finanziari ed economici globali. In questo contesto effettivamente c’è un’eccessiva divaricazione tra coloro che vivono nell’oro ed il resto, classi medie impoverite o impiegati nel c.d. lavoro povero. In questo bacino nasce il populismo, che è distanza tra pochi ricchi – l’élite odiata -, ed il popolo. In politica questa distanza non c’è, esiste invece un appiattimento, che in parte è conseguenza del populismo di cui sopra, ed in parte, come dicevamo, dei rischi giudiziari nei quali incorre chi svolge attività politica.
E adesso si può concludere con la terza élite, la casta formata dalla magistratura, alla quale si accede attraverso una via burocratica. Se l’élite è concentrazione del potere, ristretto in poche mani, questo potere oggi è in gran parte della magistratura, ad una distanza siderale dal popolo, in nome del quale dovrebbe giudicare, e dalla società. Il cittadino è oggi lontano molto più dalle procure che dal parlamento, ha molta più paura delle inchieste giudiziarie che dei provvedimenti del governo. Soprattutto, il ceto medio, quello più sofferente rispetto al passato, per la prima volta nella storia repubblicana avverte questa oppressione legalistica in ogni aspetto della sua vita e sente gravemente colpita la sua libertà personale e politica.
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