La nemesi della libertà
di Michele Gelardi
I pianificatori non smettono mai di lavorare. Si affaticano inutilmente, ma non demordono. I ripetuti fallimenti dei famigerati piani quinquennali sovietici non hanno insegnato loro alcunché. Non hanno capito che la libertà è più forte dell’oppressione e l’ordine spontaneo della convivenza umana si prende sempre la sua rivincita sull’ordine pianificato e autoritario, ancorché abusivamente denominato “democratico”. Oggi i novelli pianificatori si arrovellano intorno all’agenda Davos 2030. Entro quella data devono salvare l’umanità e c’è poco tempo, sicché sono particolarmente “agitati”. Consiglierei loro di non agitarsi, meditando, magari all’interno di un silenzioso chiostro monacale, sui motivi di fondo dei ripetuti fallimenti dell’ordine pianificato, che potrei riassumere in una formula: la nemesi della libertà. In tempi nei quali la libertà arretra in tutto il mondo occidentale, sotto i colpi del “politicamente corretto”, della “cancel culture” e del pensiero unico, riesce difficile crederci; eppure è così: la nemesi è ineluttabile.
La fallacia dell’ordine pianificato si deve in primo luogo all’impossibilità della reductio ad unum dell’intelligenza umana dispersa. Ogni uomo possiede un frammento del sapere universale e un patrimonio esclusivo, cognitivo e relazionale, che ne fa il migliore curatore dei suoi interessi. Il pianificatore, dovendo centralizzare le decisioni, vuole centralizzare le conoscenze dei mille fattori che incidono sulla cura di quegli interessi; ma non può riuscirvi. La seconda ragione può ravvisarsi nell’unicità degli eventi storici e del loro corso. Come ammoniva Popper in “Miseria dello storicismo”, il processo storico non può essere previsto con una legge, ma solamente con una ipotesi storica singolare. A ciò si aggiunga il fenomeno dell’eterogenesi dei fini. L’intenzione impressa all’azione umana non può fronteggiare la complessità dei riflessi non previsti e non voluti, che a loro volta innescano nel tessuto sociale ulteriori catene incontrollabili di eventi consequenziali. E ciò che vale per l’azione individuale, vale a maggior ragione per l’azione sociale dei gruppi e per i programmi dell’autorità politica.
È evidente poi che la pianificazione comporta dosi sempre più massicce di autoritarismo, proprio in funzione della sua stessa fallacia. L’autorità pianificatrice deve impedire che i sudditi agiscano in libertà, per l’ovvia considerazione che la libertà non produce omologazione. Il pianificatore impone la sua volontà al pianificato con una dose iniziale, supponiamo anche minima, di vis coattiva; dopo il primo fallimento è costretto a rincarare la dose, per evitare il secondo fallimento; ma non lo evita e rincara ulteriormente la dose, fino all’infinito. La pianificazione induce la coercizione progressiva; è questa “la via della schiavitù” indicata da Hayek.
Il grande pensatore liberale annovera la circolazione monetaria tra gli ordini spontanei, assieme al diritto, alla lingua, al mercato etc.. E innegabile che, nella storia umana, la moneta si è formata spontaneamente, a partire dal pecus, fino ai gettoni telefonici, che per un certo periodo in Italia hanno sostituito le 200 lire. Ma l’autorità politica ha pensato bene di imporre il monopolio della moneta, mortificando l’ordine spontaneo. Il paradigma di Hayek non sembrava più attuale. Ebbene oggi la crescente diffusione dei Bitcoin ci ricorda che l’ordine spontaneo, per quanto mortificato, si prende sempre la sua rivincita sull’ordine autoritario del pianificatore. Ne possono gioire i liberali. Devono opporsi con estrema decisione ai novelli pianificatori di Davos, ma non devono temerli. L’agenda di costoro è destinata al fallimento, non diversamente dai piani quinquennali dell’ex Unione Sovietica.
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