Economia

La MotoGp in India, nella nuova patria delle due ruote

di Giovanni Vasso -


La MotoGp fa visita alla terra dei marajah: per la prima volta nella storia, il motociclismo fa tappa in India. Al Buddh International Circuit di Dankaur, a soli 55 chilometri da Delhi. Il circuito non è del tutto sconosciuto agli appassionati di motori. Nel 2011, infatti, si disputò qui il Gran Premio indiano di Formula 1. Ma la collaborazione non ebbe un seguito a causa di problemi e dispute legate a problemi di natura finanziaria e tributaria. Adesso, però, l’India ci riprova. E lo fa con le moto. Non per caso.

L’approdo in India della MotoGp è ampiamente giustificato dai numeri. Con la Cina, si contende il fatto di rappresentare il più grande mercato mondiale per i mezzi a due e tre ruote. Soltanto nel 2019, la media di moto vendute s’è attestata sui 20 milioni di esemplari. Poi è arrivata la pandemia. Proprio mentre stava partendo la sfida elettrica. Ma nel 2022, il mercato indiano ha iniziato a dare segnali di ripresa e punta, anche grazie al fatto di aver tenuto sotto controllo i prezzi dei carburanti tenendosi sostanzialmente fuori dalle diatribe e tensioni internazionali innescate dalla guerra tra Russia e Ucraina, a un 2023 in grandissimo spolvero. Che, secondo diversi analisti, potrebbe registrare una crescita a doppia cifra. Ma la notizia nella notizia è un’altra. Già, perché tra i cinque marchi più venduti ce n’è soltanto uno estero. Il resto è tutto “nazionale”. In testa alle classifiche di vendita, infatti, c’è l’inarrivabile Hero, con 3,4 milioni di mezzi venduti (+2,4%). Segue Honda, l’unico brand straniero, che vende finora 2,4 milioni di motoveicoli, segnando un calo drastico superiore al 15%. Gli indiani, infatti, comprano indiano. Al terzo posto c’è Tvs, letteralmente trascinata in vetta dalle vendite di uno scooter elettrico (le cui vendite sono schizzate del 475%). Il brand ha venduto 1,87 milioni di mezzi, crescendo del 21,4%. Subito dietro c’è Bajaj, che dopo un 2022 al limite del disastro ha piazzato 1,25 mezzi a due e tre ruote. Bajaj, infatti, ha una solida e lunghissima alleanza con Piaggio, nata già negli anni ’60. A chiudere il quintetto di testa c’è un marchio storico. Inglese. Salvato, anzi “riesumato” dal fallimento dagli stessi indiani. Si tratta di Royal Enfield. È il più antico marchio motoristico ancora in attività. In Inghilterra era già fallito da decenni, quando i capi di allora si misero in testa di far concorrenza all’Harley sul mercato americano, fallendo l’obiettivo. In India, però, la divisione locale dell’azienda ha sempre continuato a lavorare. Anche grazie al fatto che le moto Royal Enfield erano quelle utilizzate dalle guardie di frontiera. Passata di mano, è arrivato il rilancio. Ha piazzato, nel 2023, e solo in India poco più di 500mila moto, le vendite sono state trascinate dall’Hunter 350. Il trend è più che lusinghiero: +25,1%. Ma l’obiettivo è quello di (ri)conquistare il mondo, a cominciare dall’Europa.

La storia di Royal Enfield è interessante perché capovolge i rapporti tra l’ex colonia e la Gran Bretagna. Così come già accaduto, nel recente passato, per Jaguar che oggi rappresenta il diamante della corona di Tata Motors, un autentico colosso globale dei motori. Ma l’India non è soltanto vendite. Ma anche, o forse soprattutto, produzione. Nel 2019, il subcontinente ha prodotto 24 milioni di motoveicoli a due e tre ruote, affermandosi come il primo produttore mondiale.

Non c’è niente di strano, dunque. E nemmeno di esotico. La scelta della MotoGp di correre in India, stando ai numeri, ai mercati e alle prospettive economiche e sociali, era ed è, più che altro, obbligata.


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