Editoriale

La libertà dei cittadini viene prima di quella di stampa

di Adolfo Spezzaferro -


Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che vieta la pubblicazione del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non vengano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. Si tratta della modifica dell’articolo 114 del codice di procedura penale (divieto di pubblicazione di atti e immagini). Un provvedimento preso in adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva europea. In sostanza, è una limitazione della libertà di stampa prevista anche (e soprattutto) a garanzia dei cittadini e degli stessi indagati, visto che l’ordinanza è in ogni caso un atto del giudice, terzo rispetto alle parti. È senza dubbio un importante passo avanti verso il garantismo. E potremmo dire, secondo un mantra che ha anche i risvolti del “meme” ironico: “Ce lo chiede l’Europa”. Invece, come i cagnoletti di Pavlov, le anime belle liberal, gli animi sinistri del Pd, del M5S, di Avs e compagnia brutta, blaterano di bavaglio alla libertà di stampa. Una reazione pavloviana appunto al comando impartito, come faceva il celebre etologo russo, da chi è dalla parte dei manettari, delle toghe rosse, della condanna a mezzo stampa. Eppure – non vogliamo fare i saputelli, ma ci sta – se andiamo a leggere la definizione della Treccani (sarà abbastanza autorevole per i professoroni scomodati dai giornaloni anti-governativi?), “Nella dottrina dello Stato costituzionale, liberale e democratico, la libertà di stampa rappresenta una delle manifestazioni fondamentali della libertà individuale. Essa, oltre a consentire la libera espressione del pensiero e quindi il dibattito pubblico su qualsiasi argomento, permette anche ai cittadini di ‘controllare’ l’operato del potere. Nella Costituzione italiana è garantita dall’art. 21, 1° comma”. E cosa dice la Carta costituzionale al punto indicato? “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. E poi aggiunge: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. Stiamo parlando di un concetto che a che fare con la moralità pubblica, l’offesa al pudore e all’onore sessuale. Ricapitolando: una democrazia degna di questo nome non limita la libertà d’espressione o di stampa, perché farlo è antidemocratico. Così come è diritto dei cittadini essere informati su quello che fanno le istituzioni, grazie ai “cani da guardia” del potere, secondo la definizione di chi il giornalismo moderno l’ha inventato. È però vietato pubblicare ciò che va contro il buon costume. Figuriamoci dunque se è permesso pubblicare qualcosa che può distruggere anzitempo la reputazione di un onesto cittadino solo perché indagato. Peraltro secondo la Costituzione non si deve, è vietato: si è innocenti fino a sentenza definitiva. Lo “spiegone” dunque ci fa arrivare al punto: la libertà di stampa non c’entra niente con il divieto di pubblicare documenti che troppo spesso sono stati strumentalizzati per i processi mediatici, per condannare senza appello un cittadino in custodia cautelare con le indagini in corso e in attesa dell’udienza preliminare. Un cittadino che per la legge e per la giustizia è ancora al 100% innocente. Ma che certi giornali linciano pubblicamente da subito, influenzando l’opinione pubblica e fomentando i manettari. Il garantismo può e deve limitare la libertà di stampa, perché qui non è in gioco il diritto dei cittadini ad essere informati ma il diritto dei cittadini indagati a non essere messi in croce senza uno straccio di prova. La libertà dei cittadini viene prima di quella di stampa.


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