Editoriale

La guerra del gas e la pace di Trump

di Adolfo Spezzaferro -


In attesa che il 20 gennaio abbia ufficialmente inizio il mandato del presidente Usa Donald Trump, il 2025 inizia con una seconda guerra del gas con la Russia. Guerra che – va detto – fa più che comodo agli Stati Uniti, a prescindere da chi sia alla Casa Bianca. La Gazprom ha chiuso le forniture attraverso l’Ucraina, che non ha rinnovato l’accordo con Mosca per il transito del gas. Come ricorderete, la prima guerra del gas ai danni dell’Europa è scoppiata nel 2022. Putin fece interrompere i flussi ponendo condizioni inaccettabili per l’Europa e poi fu sabotato (c’è chi sostiene per mano dell’intelligence ucraina) nel Baltico il gasdotto Nord Stream. Simbolo tangibile dell’asse energetico tra Russia e Germania, il gasdotto era l’obiettivo geopolitico principale degli Stati Uniti. Infatti, grazie alla guerra tra Russia e Ucraina, saltato il gasdotto e saltati gli accordi tra i vari Paesi europei e Mosca, gli States hanno potuto vendere agli europei il loro costosissimo gas liquido. Se sale il prezzo dell’energia, sale il prezzo dell’industria e quindi l’Ue perderebbe competitività. Basti pensare che l’Italia fino a non poco tempo fa pagava il gas 40 euro al megawattora, gli Usa soltanto sette. E il peggio deve ancora venire: il Ttf, il gas scambiato ad Amsterdam, si aggira attorno ai 50 euro per megawattora, contro i 22 circa dello scorso marzo e i 15 euro pre-guerra nel Donbass. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 importava 29 miliardi di metri cubi di gas da Mosca su una domanda di 76. L’anno scorso ne abbiamo consumati di meno, 63 ma importati solamente tre dalla Russia. Il calo è dovuto a un pericoloso processo di de-industrializzazione, causato dalla crisi economica scatenata dal combinato disposto pandemia-lockdown prima e guerra-sanzioni contro la Russia dopo. Cosa può succedere ora, con i mesi più freddi in arrivo? L’Europa dipende ancora in media al 19 per cento dall’energia russa. Ma ci sono Paesi come Slovacchia e Austria che dipendono da Gazprom rispettivamente al 70 e al 60 per cento. Dal canto suo, Kiev gioisce per il danno economico arrecato a Mosca. Zelensky, rinunciando a 800 milioni di dollari di royalties (tanto è costantemente ricoperto di soldi da Usa e Ue), si è rifiutato di rinnovare l’accordo quinquennale per il transito del gas nel tentativo di colpire economicamente Putin. Intanto la Commissione Ue scongiura gli allarmismi: “L’impatto sulla sicurezza dell’approvvigionamento sarà limitato”, assicura. Il punto però è un altro, al di là dell’inevitabile ulteriore stangata sulle bollette: cosa conviene veramente a Trump. Perché se da un lato è vero che per gli Usa la situazione è vantaggiosa – visto che vendono il loro gas all’Europa – d’altro lato al neopresidente conviene molto di più la stabilità a livello globale. The Don ha ripetuto all’infinito che una volta tornato alla Casa Bianca avrebbe ricostruito gli Usa. Ma per potersi dedicare alla crisi interna, Trump deve far finire la guerra nel Donbass. Il che significa inevitabilmente che Kiev dovrà accettare condizioni dure ma necessarie per giungere al cessate il fuoco, come rinunciare ai territori (ri)conquistati da Mosca. Così come rinunciare all’ingresso nella Nato. Una volta trovata la quadra sul Donbass (russofono e che vuole far parte della Russia), gli accordi sul transito del gas potranno essere rivisti. Insomma, per Trump la pace attualmente è più vantaggiosa della guerra. una seconda guerra del gas con la Russia. Guerra che – va detto – fa più che comodo agli Stati Uniti, a prescindere da chi sia alla Casa Bianca. La Gazprom ha chiuso le forniture attraverso l’Ucraina, che non ha rinnovato l’accordo con Mosca per il transito del gas. Come ricorderete, la prima guerra del gas ai danni dell’Europa è scoppiata nel 2022. Putin fece interrompere i flussi ponendo condizioni inaccettabili per l’Europa e poi fu sabotato (c’è chi sostiene per mano dell’intelligence ucraina) nel Baltico il gasdotto Nord Stream. Simbolo tangibile dell’asse energetico tra Russia e Germania, il gasdotto era l’obiettivo geopolitico principale degli Stati Uniti. Infatti, grazie alla guerra tra Russia e Ucraina, saltato il gasdotto e saltati gli accordi tra i vari Paesi europei e Mosca, gli States hanno potuto vendere agli europei il loro costosissimo gas liquido. Se sale il prezzo dell’energia, sale il prezzo dell’industria e quindi l’Ue perderebbe competitività. Basti pensare che l’Italia fino a non poco tempo fa pagava il gas 40 euro al megawattora, gli Usa soltanto sette. E il peggio deve ancora venire: il Ttf, il gas scambiato ad Amsterdam, si aggira attorno ai 50 euro per megawattora, contro i 22 circa dello scorso marzo e i 15 euro pre-guerra nel Donbass. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 importava 29 miliardi di metri cubi di gas da Mosca su una domanda di 76. L’anno scorso ne abbiamo consumati di meno, 63 ma importati solamente tre dalla Russia. Il calo è dovuto a un pericoloso processo di de-industrializzazione, causato dalla crisi economica scatenata dal combinato disposto pandemia-lockdown prima e guerra-sanzioni contro la Russia dopo. Cosa può succedere ora, con i mesi più freddi in arrivo? L’Europa dipende ancora in media al 19 per cento dall’energia russa. Ma ci sono Paesi come Slovacchia e Austria che dipendono da Gazprom rispettivamente al 70 e al 60 per cento. Dal canto suo, Kiev gioisce per il danno economico arrecato a Mosca. Zelensky, rinunciando a 800 milioni di dollari di royalties (tanto è costantemente ricoperto di soldi da Usa e Ue), si è rifiutato di rinnovare l’accordo quinquennale per il transito del gas nel tentativo di colpire economicamente Putin. Intanto la Commissione Ue scongiura gli allarmismi: “L’impatto sulla sicurezza dell’approvvigionamento sarà limitato”, assicura. Il punto però è un altro, al di là dell’inevitabile ulteriore stangata sulle bollette: cosa conviene veramente a Trump. Perché se da un lato è vero che per gli Usa la situazione è vantaggiosa – visto che vendono il loro gas all’Europa – d’altro lato al neopresidente conviene molto di più la stabilità a livello globale. The Don ha ripetuto all’infinito che una volta tornato alla Casa Bianca avrebbe ricostruito gli Usa. Ma per potersi dedicare alla crisi interna, Trump deve far finire la guerra nel Donbass. Il che significa inevitabilmente che Kiev dovrà accettare condizioni dure ma necessarie per giungere al cessate il fuoco, come rinunciare ai territori (ri)conquistati da Mosca. Così come rinunciare all’ingresso nella Nato. Una volta trovata la quadra sul Donbass (russofono e che vuole far parte della Russia), gli accordi sul transito del gas potranno essere rivisti. Insomma, per Trump la pace attualmente è più vantaggiosa della guerra.


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