Dossier Ai

La Germania vuol diventare una potenza su chip e semiconduttori

di Giovanni Vasso -


Dopo Intel, anche Tsmc: la Germania fa sul serio e punta a diventare una potenza mondiale nell’ambito dei chip e dei semiconduttori. La notizia è di ieri. Il colosso taiwanese, che detiene una quota di mercato mondiale che supera di poco il 58%, avrebbe in cantiere di impiantare una fabbrica in Sassonia. Tsmc non sarebbe sola nell’impresa ma alla guida di una cordata che comprenderebbe, insieme agli olandesi di Nxp Semiconductors, Infineon Technologies e Bosch. L’investimento sarebbe stimato in circa dieci miliardi di euro. Nessuno conferma, come da prassi. Ma nessuno smentisce. La ragione che porterebbe Tsmc in Germania, un “mercato” già puntato nell’ormai lontano 2021, è la produzione di chip dedicata all’automotive. In territorio tedesco, a differenza di altri Paesi, l’industria automobilistica non solo è ancora vitale ma rimane un faro e una guida fuori dalla Germania e dall’Europa.

Ma l’approdo dei taiwanesi in Sassonia andrebbe letto accanto al più grande, finora, investimento nell’ambito della produzione di semiconduttori che interessa l’Ue e, in particolare, proprio la Germania. Si tratta dell’investimento di Intel che, a Magdeburgo, sta progettando un’autentica giga-factory che darà lavoro a quasi 3mila persone, senza contare l’indotto. L’investimento, inizialmente quantificato in 17 miliardi, sarebbe lievitato, contando anche gli aiuti di Stato, fino a trenta su un budget totale che ammonta, per l’intera strategia Ue della multinazionale Usa, a 80 miliardi. Ciò grazie alla disponibilità del governo guidato dal cancelliere Olaf Scholz che ha aperto a sussidi e aiuti per fare in modo di convincere gli americani a investire senza ascoltare le sirene del rientro a casa che, con l’Ira di Biden, arrivavano dalla madrepatria. La strategia Intel prevede, come centro, proprio la Sassonia. E poi l’apertura di altri stabilimenti in altre aree dell’Ue. Anche in Italia, in Polonia e in Spagna, oltre che in Francia.

Lo strumento principale che il governo tedesco ha messo sul tavolo è quello legato all’allentamento delle norme Ue sugli aiuti di Stato. Oggi, dunque, si capisce perché Berlino spingeva in maniera così netta e decisa su questa strategia, bocciando il piano – avanzato dai Paesi latini, Italia in testa – di un nuovo fondo, in stile Recovery, per la digitalizzazione del Continente. C’è il Chips Act, basta così. Anche se, secondo più di un osservatore, i fondi messi a disposizione dall’Ue per tentare di recuperare il gap tecnologico dell’industria continentale sembrano pochi e legati a una procedura che pare farraginosa.

La guerra in Ucraina e la fine della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta hanno sollevato più problemi di quanti gli economisti, prima ancora che i politici, potessero anche solo immaginarne. La Germania, in prima battuta, è stata investita dalla crisi energetica con la fine degli approvvigionamenti dalla Russia. Il rapporto con la Cina, che di Berlino è stata ed è ancora un partner economico più che privilegiato, traballa insieme alle tensioni internazionali e rischia di lasciare sguarnita e indifesa l’industria del Paese. Poi c’è la questione, grave, della supply chain. Che, con il Covid prima e la guerra poi, si sono in alcuni casi addirittura interrotte scatenando il fenomeno, fino ad allora inedito, dello shortage, cioè della mancanza di materie prime e di semilavorati necessari alla produzione industriale.

Il governo tedesco mette sul piatto miliardi e miliardi per convincere i big tech a produrre in Germania. Perché Berlino non ha alcuna intenzione di mollare il primato europeo né di cedere un solo millimetro della solida posizione economica che si è conquistata nel mondo. E deve farlo puntando a produrre in casa. O, al massimo, nel cortile. Se la nuova industrializzazione, che si basa sulla digitalizzazione, è tutta fondata sui semiconduttori, ebbene è giusto e necessario investire il possibile, e anche di più, affinché i chip si producano in Germania. La strategia tedesca, in fondo, è la stessa degli Stati Uniti.


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