La galeotta “forza delle connessioni”
Nel 2024, sono stati confiscati nelle carceri 2.252 telefoni, un incremento significativo rispetto agli anni precedenti che porta questo dato oltre il doppio di quello dell’anno precedente: detenuti e boss in carcere credono fermamente alla “forza delle connessioni”. Una questione che pare insormontabile, considerato che quando il fenomeno è diventato crescente, si è cominciato a spendere denaro pubblico (2018, governo Conte I) pensando che vi si potesse mettere freno acquistando gli apparecchi inibitori di frequenze, che ora giacciono inutilizzati in chissà quale deposito.
Il personale penitenziario andava formato ma poi ci si accorse pure che questi jammer potevano far male alla salute e che il sistema avrebbe funzionato male in istituti di pena ubicati in edifici obsoleti, con mura spesse. Le notizie al riguardo, pure indagate recentemente dai media, rimangono incerte. Così come è assai variegata la platea di persone che ne parlano.
Procuratori di grido come Nicola Gratteri da tempo lanciano l’allarme su una criminalità che sfrutta le tecnologie avanzate prima e meglio delle istituzioni, al solito lentissime sotto ogni latitudine politica. Intanto, le recenti operazioni di polizia ci hanno insegnato ad avere dimestichezza con i droni che trasportano droga e telefoni cellulari in carcere, al costo di migliaia di euro per ogni viaggio andato a buon fine. E con i criptofonini, telefoni cellulari avanzatissimi utilizzati dai boss per mantenere i contatti con le famiglie criminali.
La galeotta “forza delle connessioni”. I sindacati della polizia penitenziaria preferiscono precisare che il bubbone del sovraffollamento e del numero limitato di agenti conduce a rendere impossibile i controlli che darebbero sicuramente sostanza all’applicazione delle pene recentemente inasprite per l’introduzione dei telefoni nelle carceri.
Un gatto, lo Stato, che si morde continuamente la coda e che difficilmente potrà cominciare a fare qualcosa di concreto per venire a capo di questo ennesimo scandalo. Il governo Meloni vuole provarci, un programma per schermare le carceri è allo studio, secondo quanto ha annunciato il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, ma servono risorse (da uno a tre milioni di euro), che ora non ci sono.
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