LA FILIPPICA – Un Fisco giusto, altrimente invochiamoil nostro Ronin Hood
Non mi piace il Fisco amico. Mi piace molto di più il Fisco giusto. Nessun ammiccamento, soltanto equità per i contribuenti che chiedono rispetto delle regole. Sia da parte dello Stato che naturalmente da parte dei cittadini. Su un piano di parità. Invece che cosa succede da troppo tempo? Che il Fisco europeo e, in modo particolare, quello italiano pare abbiano superato la misura. E’ un pensiero comune se confrontiamo i servizi offerti dalla mano pubblica rispetto a quanto i contribuenti versano, sempre che siano cittadini probi. La disparità tra il dare e l’avere è innegabile. Questo succede perché in passato sono stati sperperati troppi soldi e forse se ne sperperano troppi tutt’oggi. Queste però sono le norme e bisogna farsi una ragione dell’attuale livello di tassazione, considerato che abbassare l’imposizione fiscale diventa una missione impossibile se desideriamo mantenere un welfare accettabile per le classi più svantaggiate. E ciò nonostante ad ogni finanziaria il governo di turno prometta di non avere messo ulteriormente le mani nelle tasche degli italiani. Certo il governo Meloni qualche passo in avanti obiettivamente l’ha fatto per ridurre le imposte, ma molto resta da fare. Del resto, basta consultare internet e verificare che ci sono stati i vertici internazionali, come quello di Dubai o quelli in cui hanno partecipato Paesi da considerare sotto il profilo fiscale più efficienti, civili e giusti rispetto a quelli della vecchia Europa, per rendersi conto di due cose. La prima che non capiscono a quale livello di esosità è arrivato il Fisco, la seconda è che non capiscono perché il popolo non reagisca in maniera decisa. Una reazione costituzionale, si intende. Perché a tutto c’è un limite. Perché quando il comportamento degli enti preposti all’esazione fiscale diventa un’azione paragonabile a quella dello sceriffo di Nottingham, allora diventa difficile tacere. Troppo spesso arrivano segnalazioni che gli enti preposti alle verifiche fiscali interpretano le norme imperative – come poi si incaricano di accertare i giudici della Cassazione quando accolgono i ricorsi dei contribuenti -, a seconda della convenienza per chiedere il pagamento non delle imposte dovute ma ben superiori. E quindi non si può, e cito solo come esempio quello delle holding, cambiare il proprio orientamento che per anni è stato quello di ritenerle quanto più possibile assoggettate agli studi di settore. Oggi che è intervenuto il condono biennale che cosa si inventano gli uffici competenti? Per evitare che le holding vi aderiscano decidono di interpretare al contrario la norma e succede che le stessa società che fino a qualche mese fa potevano aderire agli studi di settori, oggi a causa di una nuova interpretazione, con motivi diametralmente opposti, sono classificate diversamente in modo da escluderle dal concordato. Ma può essere possibile? E’ evidente che questo cambiamento improvviso delle carte in tavola si rivela ingiusto, ed è come si comportava lo spietato sceriffo di Nottingham verso i cittadini corretti. Allora viene da sollecitare l’intervento il nostro Robin Hood. Perché se il Fisco, che poi è il nostro Stato, che deve difendere i cittadini per bene, decide sulla base delle convenienze come interpretare i dettami legislativi usando non la potenza del diritto, ma la prepotenza che un’istituzione non dovrebbe mai permettersi, allora sono il primo a dire che non ci sto. Perché rischia di diventare un Paese incivile e di conseguenza iniquo. Ecco perché non mi piace il Fisco amico, bensì quello giusto.
Torna alle notizie in home