LA FILIPPICA – Il programma di governo lo hanno scelto gli elettori
Non solo migranti, l’azione repubblicana è partita dai clandestini. L’agenda Trump è diventata operativa il 20 gennaio, giorno dell’insediamento. Dal rimpatrio degli 11 milioni di immigrati irregolari ai dazi che potrebbero terremotare i rapporti commerciali mondiali; dalla volontà di tagliare le tasse, l’aliquota per le imprese passerà dal 21 al 15%, ai tagli alla burocrazia; dalla volontà di incentivare l’utilizzo delle criptovalute all’annunciata svolta in politica estera, il programma del 78 enne presidente americano, giunto al secondo mandato, procede serrato. Non c’è dubbio che uno dei capitoli chiave del libro del programma del 47° inquilino della Casa Bianca sia l’immigrazione.
La sua ricetta, quella di inviare le truppe al confine con il Messico per impedire i nuovi ingressi, può essere ritenuta condivisibile oppure no, ci mancherebbe, il punto è – non sfugge certo ai teorici della democrazia – che Trump con questa e altre promesse ai suoi elettori che lo hanno premiato, e che sono in linea con il programma del partito conservatore, del quale in passato molti osservatori lo descrivevano come un corpo estraneo, ha vinto nettamente le elezioni. Nessuno si sognerebbe di mettere in dubbio la democraticità del risultato. Al contrario lo scenario di casa nostra non può che far riflettere.
La coalizione di centrodestra guidata da Giorgia Meloni, con idee peraltro più moderate di quelle trumpiane, ha conquistato la maggioranza parlamentare il 25 settembre 2022. In tutte le democrazie dove vige l’autentica alternanza delle classi dirigenti, chi vince le elezioni nei mesi successivi, se non subito, ha il dovere e l’obbligo di attuare quanto promesso. “Altrimenti mi mandano a casa alla scadenza della legislatura”, ha ripetuto Giorgia Meloni pochi giorni fa quando ha accusato una parte dei magistrati di fare politica contro le decisioni del governo pur non essendosi presentati al corpo elettorale.
Quella che sostiene la maggioranza non è una generica volontà istituzionale del governo, ma è l’indirizzo del corpo elettorale dato nelle urne che deve essere esaudito perché in esso si sostanzia la democrazia. Se le opposizioni politiche fanno il loro mestiere, ben più difficile è comprendere il ruolo che stanno interpretando altre istituzioni, pronte a mettere i bastoni tra le ruote al potere esecutivo, ma in questa maniera non fanno altro che comprimere il concetto di democrazia.
Certo, il perimetro dev’essere quello costituzionale, ma la circostanza grave che emerge evidente per milioni di italiani, è che non rispettare e non accettare la volontà della maggioranza, che non è una “dittatura” ma la manifestazione della volontà dei più, e che la pensa in maniera diversa dalla minoranza su come gestire il Paese e che ha perso il consenso popolare, limita sia i principi costituzionali che quelli democratici. Ricordiamo l’ex presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, che in più occasioni ha rimarcato che sarebbe stato pronto anche a morire purché chi la pensava diversamente da lui avesse avuto la possibilità di esprimerlo.
Questa testimonianza del Pertini-pensiero la dice lunga di quale fosse il profondo rispetto che nutriva un grande uomo di Stato come lui nei confronti della democrazia. Non sfugge ai più che la nostra Carta costituzionale grazie ai contrappesi garantisce in molteplici modi, con il giusto equilibrio tra i poteri, il corretto gioco democratico che ripudia dalle fondamenta il fascismo, il quale non garantisce le dinamiche democratiche della nostra Nazione.
Quindi con quale coraggio le opposizioni in Parlamento, direi quasi spudoratamente, invece di comportarsi come l’ex presidente Pertini e accettare il risultato popolare delle urne, ricorrono a ogni espediente, anche arruolando una parte minoritaria della magistratura, per impedire che il programma elettorale per il quale il popolo sovrano ha votato, venga finalmente attuato?
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