Editoriale

LA DESTRA FAI DA TE

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Non essendoci più una sinistra capace di vincere le elezioni, la destra finisce per fare tutto da sola. E la vera campagna è interna. Una partita rovesciata in cui Giorgia Meloni tiene le redini del Paese, da presidente del Consiglio, mentre Matteo Salvini cerca di mostrare al governo un partito che dalla fase di crisi possa sembrare pronto a una risalita nei sondaggi. E per fare questo usa il suo patrimonio più grande, gli elettori del Nord, il sistema di quel Carroccio che governa le regioni più produttive d’Italia da più di trent’anni, che come già successo in Lombardia, ieri in Friuli gli ha dato modo di poter dire all’alleata leader di Fratelli d’Italia che il suo partito, la Lega, quella di una volta, era tornato. In realtà le cose non stanno proprio così. Il problema di Fratelli d’Italia è diverso. Giorgia Meloni rappresenta un’Italia più avanzata del modello originario del suo partito. E’ come se una macchina del tempo riportasse una parte dell’elettorato indietro quando la figura della premier non era centrale nella campagna elettorale. In Friuli il partito di Meloni perde circa 10 punti dai sondaggi. E di più dal dato delle politiche ma questo non segna davvero una crisi, semplicemente la necessità di aggiornamento di una classe dirigente che evidentemente non è adatta a gestire il patrimonio di un partito a vocazione maggioritaria, che dopo avere preso in mano il governo dell’Italia vuole governare anche i 20 locali. Salvini questo lo sa benissimo. Sia perché ci è passato dentro, dopo il crollo seguito alla caduta del governo gialloverde del Carroccio: dal 30 e fischia per cento ha poco più del 10. Sia perché la Lega ha fallito il tentativo di nazionalizzare i propri numeri elettorali, tornando però a crescere improvvisamente nel suo storico Nord, la roccaforte dove il Salvini pensiero ancora funziona e dove le esperienze di governo portano a consensi che sfiorano il 70%. Inutile ripetere il referendum molto romano per cui ci sarebbe una guerra tra i governatori e il partito di Salvini. E questo perché è tale e quale alla guerra che esiste in tutti i partiti. Basti vedere il rapporto fra Elly Schlein e Vincenzo De Luca o Emiliano. Per capire come il problema centro periferia sia intrinseco a ogni schieramento.
La verità è che il governo non sarà giudicato sul dato elettorale di un territorio. Ma piuttosto sulla capacità di dare una soluzione almeno temporanea alle pressioni chiave su cui gli italiani si sentono abbandonati: l’impoverimento della classe media e l’uscita dalla società di milioni di cittadini ormai poveri. E le migrazioni, che non possiamo più definire emergenza in quanto durano da un ventennio e che è compito dell’Italia portare al centro delle priorità europee entro le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, fra poco più di un anno. Prima che il Paese sia invaso non da chi scappa disperato da una guerra e dalla fame ma piuttosto dal senso di disperazione dei suoi abitanti autoctoni che hanno dato alla politica, quindi a Meloni, l’ultima chance. Per convincerli che ha ancora senso esprimersi su chi deve governarli. E l’ultimo punto è la pace. Parola che si spiega da sola.

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