PRIMA PAGINA-La denuncia sul caso Almasri è tutta farina del sacco dell’avvocato?
Cosa hanno in comune un torturatore libico, un procuratore della Repubblica e un avvocato? Non è una barzelletta di quelle che non fanno ridere, ma la ricerca del minimo comune denominatore tra i vari protagonisti del dossier Almasri, diventato nel volgere di pochissimo un caso politico, mediatico e giudiziario, oltretutto di rilievo internazionale. La risposta è certamente un volo di Stato, ma forse c’è anche qualcosina in più.
Ripercorriamo l’accaduto, a partire da quando trapela la notizia del rilascio e del successivo rimpatrio del generale libico. È il 22 gennaio, mercoledì della scorsa settimana. Il tentativo di sbloccare lo stallo nelle trattative per l’elezione dei nuovi quattro giudici della Corte costituzionale cede immediatamente il passo al caso Almasri. Gli esponenti dell’opposizione, con in testa i leader di Pd e Alleanza Verdi e Sinistra, Elly Schlein e Nicola Fratoianni, avviano un fitto e concitato confronto che si svolge tra il Transatlantico e l’adiacente saletta fumatori della Camera. Poi gli uffici stampa avvisano di un’immediata conferenza stampa alla quale si presentano tutte le forze di opposizione, comprese Azione, Italia viva e Movimento 5 Stelle. Si chiede con forza che il governo riferisca urgentemente in Parlamento sulla scarcerazione del militare libico, sul quale pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale, ma che nonostante ciò è stato scarcerato. Di più, si chiede che a riferire sia la premier in persona, perché Almasri, dopo un decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale, è stato rimpatriato con un volo di Stato. Le notizie sono queste, poche e frammentate, motivo che che spinge giustamente le opposizioni a chiedere lumi. Ma né da Palazzo Chigi né dai ministeri interessati, quello della Giustizia e quello dell’Interno, si proferisce parola. Bocche cucite e discussione rinviata al question time del ministro Piantedosi in Senato, previsto per il pomeriggio del giorno dopo, giovedì 23. Quasi contestualmente all’intervento del titolare del Viminale a Palazzo Madama l’avvocato Li Gotti annuncia di aver già presentato presso la Procura della Repubblica di Roma una denuncia per peculato e favoreggiamento contro la presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia e quello dell’Interno, e il sottosegretario di Stato con delega ai servizi segreti. Nessuno ha idea di cosa sia accaduto di preciso, le opposizioni incalzano nel chiedere un intervento chiarificatore di Giorgia Meloni, eppure un normale cittadino, benché avvocato e con un trascorso politico, ritiene di essere in possesso di informazioni tali da presentare una denuncia contro mezzo governo. Denuncia che il procuratore Antimafia Nino Di Matteo ha definito “analitica e articolata”. Riassumendo, mentre il Parlamento e l’intero Paese brancolano ancora nel buio, un avvocato riporta alla magistratura elementi così dettagliati da far aprire un fascicolo contro Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano. Lo stesso avvocato che poi, ricercatissimo da giornali e tv, pone anche questioni su circostanze tanto delicate quanto riservate, come gli spostamenti del Falcon con il quale Almasri è stato rimpatriato. Non a caso il presidente della commissione Giustizia alla Camera, Ciro Maschio, si domanda se quella dell’avvocato Li Gotti “sia stata esclusivamente un’iniziativa individuale in un moto di indignazione o se per caso abbia avuto anche occasione di interloquire con quale esponente dell’opposizione o con qualcuno che lo ha imbeccato”. Un dubbio che, in realtà, hanno in molti e che è alimentato anche dalla passata attività professionale dell’avvocato che è stato coraggiosamente difensore di mafiosi del calibro di Buscetta e Brusca. L’ipotesi che nel corso di questa sua attività Li Gotti, per ragioni assolutamente legittime e comprensibili, almeno per chi crede nella ‘ragion di Stato’, sia entrato in contatto con gli apparati di intelligence è infatti molto probabile, così come quella che possa aver mantenuto un qualche contatto, sia anche solo amichevole. E per quanto riguarda lo stato dei rapporti di Palazzo Chigi con parte dei servizi e dei loro ex vertici, non è mistero che ci sia stata più di qualche fibrillazione.
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