La Carbon border tax fa infuriare la Cina, e tra una settimana c’è il summit coi funzionari Ue
Un incontro tra Cina e Ue per fare il punto sulle politiche ambientali, in pratica per parlare della Carbon border tax, la tassa sul carbone, che rischia di dare un colpo all’export di Pechino in Europa. La notizia, rilanciata dall’agenzia Reuters, ha avuto riscontri da fonti Ue. Tra una settimana ci sarà l’atteso summit tra funzionari europei e cinesi. In Cina, la decisione Ue di imporre dazi più alti sulla scorta delle politiche ambientali per scoraggiare l’uso del carbone e dei combustibili fossili, ha destato malumore. Si tratta dell’ennesima mossa di soft-power che tenta di svincolare l’Europa dalla sudditanza rispetto all’economia e alle importazioni cinesi. Un obiettivo che la Commissione s’è imposta già da qualche mese quando Ursula von der Leyen, nel discorso all’europarlamento sullo stato dell’Unione, ha parlato della volontà di avviare un’inchiesta sull’automotive cinese.
Dell’ambiente, ovviamente, non interessa granché a nessuno. Non è una questione legata alla necessità di abbassare le emissioni su scala globale, nemmeno di tenere a bada il clima. È, più prosaicamente, il “gancio” che serve all’Unione europea per mettere un freno alla dipendenza dall’economia cinese. Che colpirà (anche) gli interessi di altri partner. Primo su tutti, l’India, anzi la Bharat di Narendra Modi. La tassa sul carbone, che si chiama tecnicamente Carbon border tax, punta a sanzionare e a colpire quei prodotti realizzati grazie all’uso di energia derivante dalla combustione di materiale fossile. In realtà, si traduce in un dazio alle frontiere che appesantisce i costi, altrimenti fin troppo concorrenziali, dei beni e dei prodotti che giungono dagli altri Paesi.
La tassa, o il dazio che dir si voglia, funziona sulla base del Cbam il Carbon border adjustment Mechanism. In pratica, uno strumento, di cui si è dotata l’Ue, che costringerà le imprese straniere che vorranno operare sui mercati Ue a comunicare le emissioni di gas serra. E che coinvolgerà l’export di prodotti e materie prime importanti, a cominciare dai metalli (ferro, alluminio e acciaio) e fino al cemento, all’idrogeno, all’elettricità e ai fertilizzanti. Adesso dovranno soltanto segnalare le emissioni a pena di salatissime multe ma, coi tempi da bradipo tipici di Bruxelles, dal 2026 in poi le imprese straniere dovranno scucire l’equivalente della tassa o, meglio ancora, del costo del carbonio emesso a cui già sono soggette da tempo le aziende Ue. Che, così, vivacchiano con l’eterno rischio di finire fuori mercato.
La scelta Ue non fa piacere in primo luogo alla Cina che ha deplorato, nei mesi scorsi, il nuovo atteggiamento europeo. L’Ue, dopo aver incentivato e incoraggiato l’invasione dei mercati da parte di prodotti stranieri, adesso – cambiato lo scenario geopolitico – tenta una tardiva retromarcia. Ma la Carbon border tax rischia di peggiorare i rapporti anche con l’India, potenza economica in netta ascesa che, sperano i partner occidentali, in primo luogo l’Italia, potrà dare filo da torcere a Pechino e non soltanto in termini geopolitici. Questo sarà il tema dell’incontro. Queste le “politiche ambientali”, cioè le scelte strategiche, al centro del confronto, che si preannuncia infuocato, tra funzionari Ue e cinesi in programma nella prossima settimana.
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