Politica

Il premierato e la democrazia dell’investitura

di Redazione -


di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
Nel video “Appunti di Giorgia” pubblicato il 10 novembre sui social network, la premier parlando del premierato: “Voi cosa volete fare, volete contare e decidere o stare a guardare mentre i partiti decidono per voi? Questa è la domanda che faremo se sarà necessario e quando sarà necessario”.

La domanda si inserisce nel quadro di una proposta politica che prevede un Presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo, contestualmente alle Camere, insieme a una legge elettorale che garantisca al Presidente eletto una maggioranza in Parlamento. Tutto ciò associato a una norma “anti-ribaltone e anti-governo tecnico” e all’abolizione dei senatori a vita di futura nomina.

Si tratta di una serie di affermazioni che appaiono in netto contrasto con l’impianto liberal-democratico disegnato dalla Costituzione. Non solo per il discredito gettato sui partiti, ma anche, e soprattutto, perché prospetta una egemonica concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo in aperto (e voluto) contrasto con le strategie di dispersione e diffusione del potere sulle quali si basano e delle quali si alimentano le procedure democratiche.

Strategie ritenute lesive dell’unità collettiva della Nazione che sostiene il leader nelle sue decisioni e nella cui figura si riassume un’autorità centralizzata che pretende di parlare e di agire a nome di tutti, anche a costo di imporre una omogeneità forzata a una massa indistinta di elettori e di ignorare il fatto che nel pluralismo partitico si riflette la pluralità sociale, soprattutto quando questa pluralità è l’espressione di ingiustizie o disuguaglianze.

La democrazia rappresentativa è fondata sui partiti politici, che permettono di tenere in piedi un rapporto di controllo e di compartecipazione tra i cittadini e le istituzioni, e per questo non prevede l’esigenza di demandare a un leader il compito di personificare gli interessi della Nazione intesa come un corpo organico.

Non a caso, questa concezione della Nazione comporta una evidente insofferenza per le contese di partito e favorisce un clima di costante conflittualità nei confronti del pluralismo politico e culturale. In particolare, di quello che trova espressione nella democrazia dei partiti. Sono infatti i partiti a frammentare la volontà popolare e a implicare, di conseguenza, la pratica delle mediazioni e dei compromessi. La democrazia dei partiti ha reso la sfera politica plurale e la società articolata, evitando che le parti potessero essere assorbite nel Tutto.

Il principio che sembra ispirare le dichiarazioni della Presidente del Consiglio e che sta alla base della proposta del premierato è invece l’unità della collettività che sostiene il leader nelle sue decisioni, al punto da trasformare la pratica delle elezioni in una forma di plebiscito o di acclamazione.

Se la democrazia tende a diffondere il potere anziché a concentrarlo, il leader eletto a furor di popolo prospetta invece una forma di azione politica che centralizza, verticalizza e accumula il potere in vista di una democrazia non più rappresentativa, ma dell’investitura. E, in questo anno di governo Meloni, si è potuto assistere attraverso quali strumenti: una propaganda pervasiva e martellante, la denigrazione degli avversari politici, una modalità di comunicazione condotta nello stile di una campagna elettorale permanente.

Rendere ininfluente l’opposizione e umiliare le minoranze però non basta. Occorre anche procedere, come ci è dato di assistere, alla revisione della Costituzione allo scopo di ribadire l’identificazione del leader con la Nazione e di rafforzare il suo potere decisionale, sostituendo la ratifica parlamentare alla deliberazione parlamentare.

Per evitare che il potere politico si trasformi in un rapporto comando-obbedienza con tutti i rischi, anche di conflitti e instabilità, che ciò comporta, le forze democratiche dovrebbero entrare nel merito delle proposte politiche e costituzionali avanzate dall’attuale maggioranza di governo ed evitare di demonizzarle a prescindere.

Ad esempio, attraverso proposte destinate a “restituire lo scettro al Principe”, in modo da conferire realmente potere decisionale ai cittadini affinché possano esercitare forme più adeguate di controllo sui loro rappresentanti. E ciò, anzitutto, curandone il malfunzionamento dei partiti, che non sono un male da sradicare ma una realtà modificabile attraverso procedure democratiche.

Pensare alla Nazione come a un tutto unico, come a un singolo dotato di una volontà che si trasforma in legge, equivale a trasformare la democrazia rappresentativa in una democrazia dell’investitura, plebiscitaria e illiberale.


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