Attualità

L’hacker del ministero conosceva anche le password di 46 Pm

di Claudia Mari -


Aveva violato i server del Ministero della Giustizia, ma Carmelo Miano aveva in mano anche altro: l’hacker siciliano arrestato all’inizio di ottobre era in possesso di ben 46 password di pm. Miano è accusato di aver trafugato l’intera lista degli utenti che utilizzano l’infrastruttura informatica del ministero: proprio grazie a questo accesso illegale è riuscito a ottenere i nominativi degli utilizzatori, decriptandone le relative password, che poi ha immagazzinato in un’area protetta del suo computer. Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dalla Procura di Napoli, le password decriptate dal 26enne appartenevano a magistrati di diverse città, tra cui Firenze, Perugia e Torino. Particolarmente preoccupante è il fatto che tra queste ci fossero quelle di alti procuratori di Perugia e Firenze, figure chiave nelle attività investigative di rilevanza nazionale. Le autorità, dopo aver analizzato il vasto archivio di dati acquisito dall’hacker, hanno avanzato la richiesta al tribunale del Riesame di Napoli affinché venga confermata la detenzione in carcere, considerato il rischio rappresentato dal giovane. Nonostante Miano abbia dichiarato che il suo obiettivo fosse semplicemente conoscere lo stato delle indagini che lo riguardavano, la Procura ritiene che questa spiegazione non regga di fronte alla mole di informazioni rubate e a cui ha avuto accesso.

Gli investigatori sospettano altro, e cioè che il vero scopo dell’hacker fosse vendere i dati raccolti. Tesi che sembrerebbe essere quella più battuta, visti i risultati dei nuovi approfondimenti investigativi, ma anche rafforzata dal fatto che nel corso delle perquisizioni è stato trovato in suo possesso un cosiddetto “wallet” contenente diversi milioni in criptovalute, già sequestrato dalle autorità. Il lavoro della Procura di Napoli ora si concentra sulla separazione degli atti per trasmetterli agli uffici competenti in relazione alle violazioni delle e-mail di magistrati di diverse procure italiane. Nel frattempo, gli inquirenti hanno espresso il loro parere contrario a una riduzione della misura cautelare dal carcere agli arresti domiciliari, considerato il profilo altamente pericoloso dell’indagato e il potenziale rischio di fuga o reiterazione del reato. Le indagini proseguono, e non si esclude la possibilità che Miano avesse collegamenti con altre organizzazioni o committenti.


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