Editoriale

L’Aventino perenne del Pd

di Adolfo Spezzaferro -


Oggi il Parlamento voterà per eleggere un nuovo giudice della Corte costituzionale, e gli occhi – si fa per dire – sono tutti puntati su cosa farà il Pd di Elly Schlein. Dopo otto votazioni senza successo, la premier Giorgia Meloni sembrerebbe intenzionata a chiudere la partita e far eleggere Francesco Saverio Marini, suo consigliere giuridico. Se davvero la scelta dovesse ricadere su di lui, le opposizioni si stracceranno le vesti ad libitum. Questo perché la Consulta dovrà esprimersi su diversi passaggi chiave del piano di riforme del governo – dal premierato all’autonomia differenziata, e Marini dall’anno scorso è consigliere giuridico della presidente del Consiglio. Peraltro Marini è il giurista che l’ha praticamente scritto, il premierato, ossia quella riforma promossa dal governo che porterebbe all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Riforma che senza dubbio finirà proprio davanti alla Corte costituzionale. Spostiamo però l’attenzione sul Pd: qualcosa ci dice che proprio come è già successo con le nomine Rai, anche sulla Consulta il primo partito dell’opposizione stia meditando di ritirarsi sull’Aventino.

Se i parlamentari della maggioranza sono tutti precettati per la votazione (i numeri per eleggere il consigliere mancante sono risicati: ne servono 363 e la maggioranza si ferma a 360, ma come per la Rai confida nei 4 voti di Svp), la Schlein potrebbe impartire l’ordine di scuderia di disertare l’Aula e il voto. Stamattina, alla riunione dei gruppi dem di Camera e Senato, verrà fuori la decisione da prendere in Aula. La Schlein intanto si porta avanti e punta il dito contro la maggioranza e una “concezione proprietaria delle massime istituzioni della Repubblica”. Stavolta però, a differenza delle nomine Rai (con il blitz di Giuseppe Conte che gli ha permesso di portare i 5 Stelle all’incasso), le opposizioni sembrerebbero orientate a una linea comune: non partecipare al voto. Nel suo piccolo, però, Azione di Carlo Calenda fa presente che “quello che non vorremmo fare è la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai. Non si può andare avanti continuamente con l’Aventino”. Ragion per cui sarebbe in contatto con le altre opposizioni (visto che Azione conta 12 parlamentari).

Dal canto suo, il centrodestra denuncia i soliti due pesi e due misure delle opposizioni: “Se il giudice per la Consulta lo impone la sinistra, come ha fatto per anni, è una decisione democratica. Se il giudice lo indica la destra allora è un blitz”. Ancora, “se il Parlamento non vota per la Consulta è un ‘vulnus’. Se il Parlamento vota per la Consulta è un ‘blitz’. Per la sinistra rispettare la Costituzione significa essere loro a indicare il giudice, perché chi viene da sinistra è figura moralmente ‘di garanzia’ per definizione”. Ora, va bene che le opposizioni – Pd in testa – sono a corto di idee per proporsi come alternativa di governo e che quindi si riducono ad attaccare di volta in volta la maggioranza, arroccandosi sul muro contro muro, però stiamo parlando della Consulta. Il senso del dovere (istituzionale) dovrebbe prevalere sulla tentazione di mettere i bastoni tra le ruote della maggioranza. Ma forse chiediamo troppo a partiti come i 5 Stelle, che sono la rappresentazione plastica del conflitto di interessi – dalla commissione sul Covid a quella Antimafia.


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