Klaus Davi: “Vestirsi da donna non è diffamatorio”. “Noi gay è dallo Stato che dobbiamo difenderci”
Klaus Davi – portato a processo dal boss Rocco Papalia a causa di una serie di manifesti affissi a Milano e Buccinasco nel dicembre del 2017, in cui il mafioso era ritratto vestito da donna – ha dichiarato di non sentirsi rappresentato dallo Stato e che “vestirsi da donna non è diffamatorio”.
“Quando ho letto il capo di imputazione che mi è stato recapitato dopo la querela di Rocco Papalia, in forma di avviso di conclusione dell’indagine, da gay mi sono sentito umiliato, minacciato e intimidito, ma questa volta non dalla ‘ndrangheta bensì dalle leggi di uno Stato che attribuirebbe al travestitismo una valenza negativa, come fossimo dei ladri o dei narcotrafficanti “.
“Solo 20 giorni fa mi hanno recapitato una busta con proiettili con minacce di morte esplicite. Nel merito sta indagando la Dda di Reggio Calabria – come hanno dichiarato il dottor Giovanni Bombardieri capo della DDa di Reggio Calabria nonché il questore Bruno Megale ai mezzi di informazione – e leggere quelle parole messe nero su bianco mi ha profondamente ferito. Vestirsi da donna ed essere gay non è una offesa, non è una diminutio, non c’è nulla di lesivo in questo e sono modi di essere che non hanno alcun valore diffamatorio. Meno che meno un poster può compromettere la reputazione di un acclarato esponente della mafia calabrese. I gay e i travestiti venivano bruciati nei campi di concentramento ad Auschwitz, Dachau, Birkenau.
Lo Stato italiano non può sostenere una simile accusa e non può assolutamente avallare la tesi che il vestirsi da donna sia in sé un fattore degradante per la reputazione di un cittadino. Da omosessuale minacciato di morte dalla ‘ndrangheta, da oppositore dell’antimafia da salotto – citando la mia amica Lucia Annunziata – affermo che da un simile Stato noi omosessuali, noi travestiti, noi transgender dobbiamo rumorosamente difenderci: perché queste sono norme e accuse gravissime, se formulate da uno Stato di diritto che presuppone l’uguaglianza fra i cittadini” ha dichiarato Davi.
La prossima udienza è fissata per il primo dicembre nel capoluogo lombardo. Papalia, che ha scontato 25 anni di carcere per vari reati, è stato ascoltato come testimone e parte offesa dal pubblico ministero Maria Cristina Matassi e dall’avvocato di Davi, Simona Giannetti.
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