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La versione di Robert Kennedy: “La guerra in Ucraina non doveva iniziare”

di Francesco Carraro -


Il nipote di John Fitzgerald Kennedy analizza cause ed effetti del conflitto tra Russia e Ucraina: “Ecco chi e perché ha voluto lo scontro”

La diga comincia a incrinarsi. Dopo anni di impenetrabili omertà, censure ben calibrate e verità impronunciabili, un tassello della narrazione a senso unico del campo Occidentale sul conflitto russo-ucraino si sgretola.  

E ad assestare il colpo di grazia non è un oscuro teorico del complotto relegato ai margini del dibattito pubblico, bensì un esponente di primissimo piano della politica americana: Robert Kennedy Jr., designato da Donald Trump al ministero della salute.  

Il nipote di JFK non è nuovo a dichiarazioni scomode. Durante la pandemia, si è distinto per il coraggio con cui ha smascherato molte delle contraddizioni nella gestione del Covid-19 e nella successiva campagna vaccinale. Egli ha, altresì, denunciato il sistema di potere costruito attorno alla figura di Anthony Fauci, l’ambivalente e assai discutibile consigliere medico di Joe Biden durante il biennio pandemico. Oggi, Kennedy Jr. non si ferma alla questione sanitaria, ma allarga il fronte, entrando a gamba tesa sullo storytelling della guerra in Ucraina.

Intervistato dall’emittente texana Daystar, Kennedy ha pronunciato parole inequivocabili: “La guerra in Ucraina non sarebbe mai dovuta iniziare. Questa guerra riguardava davvero la sicurezza. Per i russi non è una questione di territorio. Lo dicono da trent’anni anni: non è possibile allargare la NATO all’Ucraina”. In poche parole, il nipote di JFK ha condensato ciò che i rarissimi critici della versione “ufficiale” sulla guerra tra Putin e Zelensky hanno invano tentato di spiegare (a partire dal febbraio 2022) puntualmente tacciati di collaborazionismo filo-putiniano.

Il punto chiave, per Kennedy, è che l’Occidente ha tradito ogni promessa fatta ai russi sulla non espansione della NATO: “Dopo la riunificazione della Germania, abbiamo promesso di non allargarci di nemmeno un centimetro a Est. Poi abbiamo esteso i nostri confini per migliaia di chilometri. L’unica cosa che i russi vogliono è che non venga allargata la NATO all’Ucraina. E questa è stata la causa della guerra”. Ma Kennedy va oltre. Ricorda un dettaglio storico (l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941) volutamente rimosso dal dibattito in materia, o quantomeno il più delle volte maliziosamente sottaciuto: “Quando Hitler attaccò la Russia, uccise un russo su sette. Quindi hanno legittime preoccupazioni sulla sicurezza”.

Non bastasse, Kennedy rievoca il ruolo cruciale dell’Occidente nella caduta dell’esecutivo ucraino, nel 2014: “Siamo intervenuti, abbiamo rovesciato il governo eletto e introdotto un governo filo-NATO. I russi hanno chiesto un trattato di pace, abbiamo concordato, Francia e Germania hanno firmato Minsk, poi abbiamo ingannato i russi e siamo entrati nel Paese”.

E infine, il colpo di grazia alla tesi monolitica e monotematica dell’esclusiva responsabilità russa nella genesi del conflitto: nel 2022 Zelensky aveva firmato un nuovo accordo di pace con Putin, che avrebbe evitato migliaia di morti e mantenuto intatti i confini ucraini. Ma gli Stati Uniti non potevano permetterlo, ha rammentato Kennedy: “Biden ha inviato Johnson a Kiev per costringere Zelensky a rompere questo accordo. Da allora, molti sono morti. Noi volevamo la guerra”.

In un mondo normale, tali  perentorie affermazioni  dovrebbero aprire, anzi spalancare, le porte a un vera e franca discussione sul tema che fino ad oggi è mancata. Indubbiamente, chi le ha pronunciate è un personaggio assai scomodo.  Lo dimostra il fatto che, negli ultimi giorni, Kennedy è stato letteralmente bombardato di aggressive domande e di critiche feroci nell’audizione, in Commissione finanze del Senato americano, dove ha presenziato in qualità di futuro ministro della salute.

E tuttavia, anche di uomini scomodi è fatta la storia dei cambiamenti epocali di segno positivo. La speranza è che le frasi di Kennedy Jr. – proprio perché provenienti da un profilo così importante, per ragioni “dinastiche”, per biografia professionale e per il suo futuro, probabile, peso istituzionale – possano rappresentare l’abbrivio di una nuova era. Magari non necessariamente la “golden age” di cui parla Trump, ma almeno un’epoca di maggior “respiro” per il diritto di parola e per la libertà di pensiero.  

www.francescocarraro.com


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