Jeanne Du Barry: Storia mozzata di una testa da mozzare
Versailles, metà XVIII secolo: il Re è un vedovo allegro e Jeanne du Barry donna emancipata, incurante di certi dettàmi voluti proprio dal suo monarca e desiderosa di sovvertire tutte quelle convenzioni poi distrutte che poi sono state rimesse al loro posto dalla storia. La regia è chiara nei propri voleri e questo taglio si intuisce già dalle prime scene del film, dove si vede una giovane Jeanne Becu, che, per dimostrare la propria indipendenza, rifiuta di spogliarsi davanti a un artista al quale doveva fare da modella: “No, questo è il mio corpo”. Un corpo che Jeanne du Barry usaper riscattarsi dalle proprie umili origini, usando la macchina del tempo come regia narrativa. Si ha sempre la sensazione che il passato le sia funzionale per celebrare le glorie del presente. In una prima parte, spassosa anche se a tratti esagerata nel sottolineare il carattere esuberante e smaliziato della futura cortigiana, è incentrato sul ritratto della donna che, appunto, si mostra al pubblico riluttante nel farsi ritrarre secondo i voleri di un artista. Questione di posta in gioco. Tutt’altra faccenda è se a piegarla ai propri voleri è Sua Maestà Johnny Depp. Piegarla si fa per dire, perché poi si sa già che il potere e l’influenza di lei daranno un imput alla storia più rilevante quasi di quella di lui.
L’interpretazione di Depp è notevole: c’è il silenzioso e consumante dramma di chi ha appena perso una compagna di grande importanza: Madame de Pompadour e che teme di non trovare mai più una donna di tale levatura per continuare il suo percorso in quel lungo regno che è passato alla storia anche per le frequentazioni ambigue della corte allegrotta.
Il film offre splendide ricostruzioni sceniche, costumi strepitosi e una certa bravura di Maïwenn alla regia che rende contemporaneo qualsiasi momento, compresi quelli in cui il dialogo è noioso ma funzionale a una verità storica su cui, da un certo momento in avanti ci si smette anche di interrogare, per calarsi nella verità emotiva, che peraltro rende egregiamente.
Raccontare Jeanne du Barry, quella donna a cui bastava farsi vedere anche solo un attimo per attirare lo sguardo di qualsiasi uomo, compreso Luigi XV, non era una cosa semplice. Eppure scorre, scorre così velocemente che, ahimé si arriva ad un finale che sembra girato col fiato sul collo, che relega gli ultimi anni di vita della contessa, del suo rapporto ambiguo con la nobiltà e con quei rivoluzionari ne ottenero la morte sulla ghigliottina, ai titoli di coda. Qui, c’è da dirlo, un occasione persa. E, ci scommetto qualcosa, prima o poi salterà fuori qualche critica femminista che si accorgerà che la sua storia è stata narrata solo come se avesse avuto senso fin quando il Re era in vita. Roba che se la Boldrini va al cinema non se ne esce più.
Personalmente credo che il tutto, pur dispiacendomene, abbia un senso, perché rende vero ciò che era il sentito dell’epoca.
Morto il Re, la cortigiana non ha più senso. Nemmeno se è stata influente, nemmeno se è sta a rivoluzionaria al pari di quelle che armate di forche, un re e una regina dopo, hanno scritto uno dei capitoli più significativi e sanguinari della storia.
La storia della du Barry finisce con la morte del suo protettore e del suo potere, restituendo all’effimero ciò che tutti si aspettavano acquisisse materialità anche in termini di storia.
Volendo recensire con benevolenza posso dire che io una mezzoretta in più di immagini me le sarei anche godute senza guardare l’orologio pur di vedere come andava a finire lei anche dopo la fine di lui. Di questa donna era da capire che fine ha fatto la sfrontatezza e la platealità con cui fece mostra del suo legame sentimentale con il Re, causa di profonde inimicizie alla Reggia di Versailles, covo di interessi, complotti e lotte per il potere, una volta dismessi gli abiti dell’amante. E questo mi è funzionale per spendere una parola in più a favore di una regia che ho trovato interessante, movimentata, acrobatica a tratti ed estremamente accurata, perché capace di parlare ad un orecchio e u occhio moderni di una storia e un soggetto classici di cui tanti di noi, se non tutti, sapevamo a sufficienza da non aspettarci colpi di scena nemmeno per il gusto di farli.
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