Un Paese sfibrato, la corsa dell’Italia nella rete
Un cantiere nel centro cittadino durante l'intervento di cablaggio con fibra ottica da parte di Open Fiber a Reggio Calabria, 19 maggio 2021. La rete sarà completata entro l'anno. Intanto sono state già raggiunte oltre 40 mila unità immobiliari delle 51 mila previste, per un investimento di circa 18 milioni di euro. ANSA / Marco Costantino
L’Italia nella rete. La transizione digitale procede a passi spediti. Sulla carta. Nella pratica, invece, si registra qualche ritardo di troppo. I progetti non mancano ma per il Paese è necessario, ora, darsi una mossa. In ballo c’è il futuro. E non è solo retorica. La digitalizzazione è la frontiera più decisiva di questi anni e l’apporto dell’hitech diventa strategico in ogni settore, dall’agricoltura fino sanità, passando proprio per la pubblica amministrazione. E per non perdere il treno l’Italia deve fare un passo avanti.
La lentezza del processo con cui l’Italia sta affrontando la digitalizzazione è negli annunci della politica. Il Nord Est, in termini economici e di sviluppo, è sempre più centrale in Italia. Ma il Friuli Venezia Giulia dovrà aspettare fino al 2026 per festeggiare la copertura del suo territorio. Il governatore Massimiliano Fedriga ha spiegato che il Fvg “con Open Fiber è la regione più avanzata dal punto di vista dell’infrastruttura” e pertanto “credo che entro il 2026 saranno coperte non solo le aree bianche ma anche quelle grigie”. Altri due anni. E non sono pochi. Perché, come ha spiegato lo stesso Fedriga: “Senza reti veloci è impossibile rendere attrattivi i territori” in materia di investimenti produttivi ed economici. Ed è vero, anzi verissimo. In tutti i settori. Dai campi, dove l’agricoltura di precisione consente di ottimizzare i costi e moltiplicare la produzione, fino all’industria e ai servizi. Ma l’Italia è il Paese dei divari. Per il momento, il piano di portare la fibra ovunque ha difatti diviso la nazione tra la grande città (aree nere) e la periferia (aree bianche e grigie). Se nei comuni di medie e grandi dimensioni portare la fibra è remunerativo per gli operatori, non lo è altrettanto nelle zone a minor densità abitativa dove opera un solo operatore (aree grigie) o proprio nessuno (aree bianche) e per le quali c’è bisogno dell’intervento dello Stato dal momento che il mercato non renderebbe attrattivo l’investimento. Il paradosso, però, è che migliaia e migliaia di attività produttive si trovano in “periferia” e non nei centri urbani più popolosi. E per colmo di paradosso è accaduto che, poco più di una settimana fa, si sia scoperto che i dati relativi alle aree grigie non corrisponderebbero a quelli reali. In pratica, Open Fiber avrebbe bisogno di più tempo e materiali per coprire le aree ritenute già servite che, alla prova dei fatti, non lo sarebbero. Il 2026, festeggiato con giusto orgoglio da Fedriga, per tante altre aree del Paese sarebbe solo una pia illusione. Ma rispettare il termine sarebbe decisivo per ottenere gli 1,8 miliardi approntati dal Pnrr per la copertura digitale del Paese. Non si tratterebbe di un’aporia da poco. Mancherebbero al conto, infatti, qualcosa come ventimila km di cavi a fronte dei 60mila messi a bando. Insomma, se il dipartimento per l’innovazione non trova una soluzione, saranno guai. Anche perché il confronto coi partner europei è impietoso. In Italia, stando ai dati di Open Fiber, solo il 20% delle linee attive corre su fibra. A differenza di quanto avviene in Francia (66%) e in Germania (dove la fibra serve l’80% delle connessioni). E se è vero, come lo è, l’assunto di Fedriga secondo cui le reti veloci sono necessarie ad attrarre investimenti, il nostro Paese rischia di perdere un treno, l’ennesimo, per lo sviluppo. E
Eppure i progetti ci sono. Lo stesso sottosegretario Alessio Butti ha presentato la digitalizzazione come decisiva per far fare il salto di qualità ai servizi essenziali garantiti dallo Stato, a cominciare dalla sanità. Ma ha pure ribadito che le reti sono fondamentali. “Abbiamo la consapevolezza che il digitale possa e debba dare un grosso contributo e possa consentire quel salto di qualità nelle prestazioni che tutti noi ci aspettiamo – ha spiegato Butti a E-Health – . La serenità di un Paese dipende anche da questo e un Paese sereno produce di più e cresce nella prosperità. La sfida digitale nella sanità – ha proseguito – invita ad una mobilitazione generale, con un obiettivo di non poco conto, cioè modernizzare il Paese, prendersi cura della salute dei cittadini nel modo più efficiente ed efficace”. Insomma, l’Italia e il suo sviluppo passano dalla rete.
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