Economia

L’Italia si scopre povera: in 18 anni redditi polverizzati

di Giovanni Vasso -

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L’Italia si riscopre più povera. Il reddito delle famiglie si assottiglia ma, se possibile, questa non è neanche la peggiore delle notizie che emerge dal report sulle condizioni di vita degli italiani pubblicato dall’Istat. Il vero dramma, difatti, si annida nel trend, ulteriormente in crescita, della disparità legata alla ridistribuzione della ricchezza; i poveri, oggi, sono più poveri e i ricchi, invece, diventano ancora più ricchi.  

Il report Istat, infine, conferma un altro dato tutto italiano: i salari bassi, o meglio il “lavoro povero”, che affligge, nel 2023, addirittura il 10% di chi un impiego ce l’ha. I dati del report sono eloquenti: nel 2024 le famiglie a rischio esclusione sociale sono salite dal 22,8% dell’anno precedente al 23,1%, poco meno di un quarto dell’intera popolazione, una platea sterminata formata da poco più di 13,5 milioni di italiani. Resta invariata la quota del Paese a rischio povertà: si tratta di circa 11 milioni di persone, per una percentuale che si attesta al 18,9%. Un dato che non farà piacere al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti spiega, plasticamente, perché in Italia non si fanno figli: il pericolo dell’indigenza, difatti, incombe in maniera più pesante sulle famiglie numerose (da tre figli a salire) mentre scende, drasticamente, per i single. Vivere da soli, però, non salva dall’incubo esclusione sociale. Un dato che si intreccia a un altro. La quota a rischio di tra i pensionati è pari al 33,1% (era il 31,6% nel 2023) e gli over 65 esposti al pericolo dell’indigenza, tra quelli che se vivono da soli, rappresentano addirittura il 29,5%. L’unico dato in miglioramento è quello delle famiglie composte da almeno un cittadino straniero che vedono ridursi il rischio povertà dal 40,1% al 37,5% mentre sale per quelle italiane dal 20,7% al 21,2%. Manco a dirlo, l’area del Paese dove lo spettro dell’indigenza fa più paura è il Sud dove il rischio, da un anno all’altro, aumenta passando al 39,2% rispetto al 39% di due anni fa.

Per il resto del Paese non è che le cose vadano chissà quanto meglio. L’Istat, difatti, certifica che dal 2007 a oggi le famiglie italiane hanno perso, in termini reali, l’8,7% del loro reddito. Colpa dell’inflazione, certo. Colpa anche del cosiddetto lavoro povero, dei salari sempre più bassi e improponibili (se paragonati a quelli offerti negli altri Paesi Ue). A pagare il prezzo più alto di tutti, negli ultimi quindici anni, sono stati i lavoratori autonomi il cui reddito è letteralmente sprofondato: -23,8%. Perdite paragonabili solo a quelle legate ai redditi da capitale in calo del 22,6%. Male, anzi malissimo, anche i redditi da lavoro dipendente che perdono l’11,4%. Insomma, tra prodotti di risparmio che non rendono più nulla e offerte di lavoro sempre più povere, tra inflazione e altri problemi, gli italiani stanno ancora pagano la crisi del mutui subprime. A cui, nel corso del tempo, come abbiamo imparato a conoscere, se ne sono aggiunte delle altre. Non meno devastanti, dal Covid fino a quella energetica, non ancora terminata del tutto. A questo si unisce un mercato del lavoro ben poco generoso. L’Istat stima che un occupato su dieci nel 2024 sia stato a rischio di povertà lavorativa. Il trend, da un anno all’altro, è cresciuto passando dal 9,9% del 2023 al 10,3% dell’anno successivo. Il rischio incombe di più sugli uomini che sulle donne: 11,8% contro l’8,3%. Ma ciò non vuol dire che vengano pagate di più, anzi. Significa, più semplicemente, che i lavori a bassa retribuzione offerti alle signore, in questi casi “seconde percettrici” di reddito, rappresentano un’ulteriore entrata familiare. E dunque il rischio povertà, almeno statisticamente, non c’è. Più in generale, i lavoratori a basso reddito rappresentano circa un quinto dell’intera platea italiana. A essere più coinvolti in questo fenomeno sono proprio le donne (26,6%), insieme agli under 35 (29,5%) e agli stranieri (35,2%). Il guaio, però, è ancora un altro. Già, perché l’ascensore sociale è fermo e, a quanto pare, non c’è modo di aggiustarlo. Il divario tra ricchi e poveri cresce e così aumenta, secondo l’Istat, la disuguaglianza nella ridistribuzione del reddito. Si tratta di un parametro che, tecnicamente, è calcolato con il cosiddetto indice Gini, che viene calcolato sui redditi netti e in natura. Ebbene, il valore da tenere in considerazione per il 2024 è 0,323 che risulta in peggioramento rispetto all’anno precedente quando era 0,315. Al Sud questo parametro sale a 0,339 mentre nel Nord Est sprofonda a 0,276 segnando, unica area italiana, un miglioramento rispetto ai valori del 2022. Ciò vuol dire, al netto dell’area nord-orientale, che chi guadagna di più continua a farlo e chi guadagna di meno prosegue nel tirare la cinghia. L’Italia, insomma, si riscopre più povera. Non è un problema di oggi ma si tratta di guai che hanno le loro radici ben piantate in tutto quanto è accaduto negli ultimi decenni.


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