Israele, l’ombra del genocidio e il destino di Gaza
di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
Al Consiglio di sicurezza dell’Onu, il segretario Guterres ha recentemente dichiarato che “l’intera popolazione di Gaza sta subendo una distruzione ad una scala e ad una velocità senza eguali nella storia recente”. Ed ha aggiunto: “niente può giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. Non si tratta di un’affermazione isolata: già in altre occasioni Guterres ha condannato con forza l’assedio della Striscia, dove sono stati superati i 25mila morti, il 70% dei quali, sempre secondo l’Onu, “è donna o minore”. Le critiche alla strategia voluta da Netanyahu hanno trovato vasta eco in tutto il mondo, anche con esiti perversi, poiché si sono talvolta colorate di antisemitismo. Tuttavia, non è azzardato affermare che la denuncia contro Israele per “genocidio”, presentata dal Sudafrica il 29 dicembre 2023 presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, non ha nulla a che fare con questo fenomeno, peraltro da non sottovalutare. In realtà, la Corte è chiamata ad affrontare un tragico e ricorrente dilemma: il diritto internazionale può prevalere sulla politica di potenza degli Stati, oppure questa politica può essere esercitata in spregio a ogni vincolo giuridico, quello che da qualche secolo si usa definire jus in bello, in nome di una logica che si richiama non più al diritto ma unicamente alla forza?
Israele, con il sostegno degli Stati Uniti, ha respinto la causa ritenendola infondata, ma ha accettato di comparire dinanzi alla Corte per difendersi dalle accuse e avanzare le proprie controargomentazioni. Il termine “genocidio” indica la volontà deliberata di distruggere l’esistenza e i modi di vita di una collettività attraverso azioni belliche che non fanno distinzioni tra civili e militari, uomini e donne, adulti e bambini. Israele ha reagito all’accusa invocando il diritto all’autodifesa riconosciuto a ogni Stato sovrano ai sensi dell’art. 51 della Carta dell’Onu.
Gli avvocati del Sudafrica hanno addotto, a sostegno della loro denuncia, alcune delle dichiarazioni più compromettenti pronunciate da membri di estrema destra del governo israeliano. Nel documento vengono citate dichiarazioni come quelle di Benjamin Netanyahu, che ha definito i palestinesi “animali umani”, il suggerimento da parte del Ministro Amichai Eliyahu di “sganciare una bomba atomica su Gaza” e quelle del Ministro della Sicurezza Nazionale Ben Gvir e del Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich i quali, nel corso di una seduta parlamentare, si sono pronunciati a favore di misure volte ad “allontanare” e “ricollocare” l’intera popolazione di Gaza. Inoltre, immediatamente dopo l’esplosione efferata di violenza compiuta da Hamas con l’attacco terroristico del 7 ottobre, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha sostenuto che i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, che stanno provocando lo scenario catastrofico che è sotto gli occhi di tutta l’opinione pubblica internazionale, rappresenta una reazione legittima all’aggressione subita e una via necessaria ad assicurare la sicurezza di Israele. È stato Hamas, afferma il governo israeliano, ad avere messo volutamente in pericolo le vite dei palestinesi proteggendo la sua ala militare all’interno delle aree residenziali e lanciando attacchi da scuole, moschee, ospedali e strutture delle Nazioni Unite.
La Corte, secondo quanto affermato dalla presidente, la giudice Joan Donoghue, chiede a Israele di “garantire che le sue forze armate non commettano un genocidio”. La pronuncia della Corte costituisce uno spartiacque storico dalle profonde implicazioni simboliche. I palestinesi potrebbero trovare una qualche forma di risarcimento, simbolico appunto, nel vedere i rappresentanti israeliani costretti, per la prima volta, a difendere la condotta bellica del loro Paese davanti a un collegio di giudici delle Nazioni Unite. Mentre, dal punto di vista di Israele, potrebbe rappresentare una sorta di capovolgimento della storia, dal momento che il crimine di genocidio è stato creato proprio per proteggere il popolo ebraico da future persecuzioni e distruzioni.
Sarà compito della Corte verificare ulteriormente i fatti ed emettere un giudizio. Le sue decisioni sono vincolanti secondo il diritto internazionale, ma quasi mai hanno dirette conseguenze pratiche, dal momento che gli Stati possono – come la Russia nel 2022 – rifiutarsi di riconoscerne l’autorità. Tuttavia, per quanto i giudici dell’Aia non dispongano di mezzi coercitivi per costringere Israele a osservare il giudizio, quando sarà definitivo, una eventuale condanna potrebbe forse avere almeno una conseguenza positiva: costringere l’esercito israeliano ad agire con maggiore cautela per limitare le vittime palestinesi e per ridurre i bombardamenti indiscriminati che hanno trasformata la Striscia di Gaza in un fazzoletto di terra reso invivibile per gli anni a venire.
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