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Israele, l’ambasciatore Stefanini: “L’America ha scelto la prudenza. C’è il rischio di un conflitto globale”

di Edoardo Sirignano -

STEFANO STEFANINI AMBASCIATORE


Israele, l’ambasciatore Stefanini: “L’America ha scelto la prudenza. C’è il rischio di un conflitto globale”

di EDOARDO SIRIGNANO

“L’America ha scelto la prudenza. Così si evita un allargamento della crisi”. A dirlo l’ambasciatore Stefano Stefanini, consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano ed ex rappresentante dell’Italia alla Nato.

Come valuta l’atteggiamento dell’Occidente?

La verità è che non ha mosso un dito.

Fa bene a essere così attendista?

Ha cercato di evitare un allargamento di una crisi, pur riconoscendo il diritto di Israele alla difesa. Mi sembra giusto che si agisca per evitare un’estensione del conflitto. Diversamente potrebbero essere coinvolti altri attori e ciò un pericolo per tutti.

Si riferisce alla Cina?

La Cina, fino a ora, è stata su una condizione di piena neutralità. Sta alla finestra per vedere se da tutta questa situazione può guadagnarci qualcosa. Detto ciò, per fortuna, non esiste ancora una congiura verso l’Occidente. C’è un’aggressione di Hamas a Israele, sostenuta dall’Iran. Questo, forse, è un aspetto che deve interessarci da vicino.

Non bisogna avere, dunque, lo stesso atteggiamento avuto in Ucraina?

Ci sono differenze profonde tra i due conflitti. La principale è dovuta al fatto che Israele sa come difendersi e possiede tutti i mezzi necessari per farlo. Non ha bisogno di forniture militari da parte degli Stati Uniti, pur essendo fuori discussione per gli americani la salvaguardia dello stato di Israele.

Non c’è, dunque, un sostegno inferiore a Tel Aviv rispetto a quello fornito a Kiev…

Assolutamente no! La differenza sta nel fatto che gli ucraini sono stati soggetti a un’invasione da parte di un paese militarmente più forte. Kiev, dunque, aveva e ha bisogno di un sostegno di forniture continuo da parte della Nato. Israele, al contrario, è in grado di difendersi da solo da Hamas, pur avendo completamente sottovalutato quella minaccia. Un confronto militare tra i terroristi e il governo di Netanyahu avrebbe un esito abbastanza scontato. L’ Europa e gli Stati Uniti, piuttosto, vigilano sull’Iran. Si tratta di una vera e propria azione di deterrenza. Questo il senso delle parole di Macron, così come delle portaerei statunitensi nelle acque del Libano. Vuol essere un segnale, ma certamente quelle navi non aiutano Israele, che non ha bisogno di quel tipo di aiuti.

C’è davvero la possibilità che l’Iran entri nel conflitto?

Pur non sapendo cosa c’è nella testa della dirigenza locale, posso dire che l’Iran ha già incassato molto da questa crisi, politicamente parlando. È diventato il portabandiera dell’estremismo di Hamas. Se spinge troppo sull’acceleratore, rischia di restare scottato.

La partita mediorientale ci riporta in mente gli anni del terrorismo…

Non abbiamo sentito in questi anni tale parola solo perché siamo stati assorbiti da altri problemi, in particolare dall’invasione russa in Ucraina. Il terrorismo, però, continua a covare sotto la cenere. È un’idra dalle mille teste. Abbiamo tagliato quella dell’Isis e ne rispunta un’altra.

Come finirà, intanto, la guerra tra Putin e Zelensky? Non rischia di finire nel dimenticatoio?

Non può perché è una minaccia alla sicurezza europea. Stiamo parlando di un Paese che è stato invaso. Tra le due parti, sono morte più di 200mila persone. Si tratta di un attacco al cuore del continente. È molto difficile, pertanto, che possa finire in soffitta, come se nulla fosse accaduto.

Qualora dovessero tornare i repubblicani alla Casa Bianca, cambierà lo scenario internazionale?

Sicuramente! Se fosse eletto Trump e quindi si decidesse di cessare, di punto in bianco, gli aiuti all’Ucraina, obbligherebbe tutti, anche noi europei, abituati a un’alleanza solida con gli Stati Uniti, a tornare sui banchi di scuola.

In Medio Oriente, invece, cosa potrebbe accadere?

Parliamo di uno scenario molto difficile da immaginare. Ritengo che la guerra tra Hamas e Israele finisca, al massimo, entro novembre. Vuol dire, dunque, che terminerà con Biden a Washington. Detto ciò, non sarà risolto il problema Gaza, né sarà sconfitto il terrorismo o superata la questione palestinese. Fra Trump e Netanyahu esisteva una solida alleanza. I suoi Stati Uniti, pertanto, non mollerebbero l’amico in difficoltà.


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