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“Sospendete Israele dalla Fifa”, il dilemma di Infantino

di Giovanni Vasso -


La guerra in Medio Oriente si “combatte” anche nel rettangolo verde: la federazione calcistica della Palestina ha chiesto alla Fifa di sospendere Israele dal calcio mondiale: una brutta rogna per Gianni Infantino, presidentissimo della federazione mondiale, che per il momento prende tempo e annuncia “una consulenza legale” per studiare il da farsi. Infantino non vuole fare la fine del topo. Sa benissimo che il calcio mondiale vive di immagine e sa altrettanto bene che una fetta importantissima di pubblico (quindi diritti tv, merchandising e quant’altro afferisca al business) è di fede musulmana. E poi c’è la politica. E qui entrerebbero in campo gli sceicchi, le potenze regionali del Medio Oriente che hanno buoni, anzi ottimi, rapporti con Infantino e l’organizzazione. Rapporti che il capo della Fifa vuole preservare a ogni costo. Ma la questione c’è. Ed è spinosissima. Lo hanno imparato, a loro spese, alcuni calciatori israeliani che, per esprimere la loro vicinanza ai connazionali o per diffondere messaggi di orgoglio verso il loro Paese si sono visti esposti a vere e proprie shit-storm sui social. Che hanno coinvolto anche i club di appartenenza. Il caso più eclatante è stato quello di Sagiv Yehezklev, attaccante israeliano già in forza all’Antalyaspor che, per festeggiare un gol ai danni dei rivali del Trabzonospor nella Superlig turca, s’è fatto arrestare. Le autorità di Ankara, infatti, non avevano gradito l’esposizione di un messaggio di vicinanza agli ostaggi catturati da Hamas il 7 ottobre scorso e alle loro famiglie. La vicenda s’è conclusa con la liberazione del calciatore che, però, è tornato di corsa in patria terminando la sua avventura calcistica fuori dai confini nazionali.

Il “problema” politico, ça va sans dire, è che l’espulsione di interi Paesi dagli ordinamenti e federazioni sportive non è un fatto inedito. La Russia, per esempio, è fuori da tutto e gli atleti russi gareggiano, dove ancora possono farlo, senza esibire la loro bandiera. Le guerre, nel Terzo Millennio, si combattono (anche) così. “Quanto ancora dovrà soffrire la famiglia del calcio palestinese affinché la Fifa agisca con la stessa severità e urgenza come ha fatto in altri casi?”, ha tuonato il presidente della Pfa Jibril Rajoub: “La Fifa considera alcune guerre più importanti di altre e alcune vittime più significative? Vi chiedo di stare dalla parte giusta della storia. La sofferenza di milioni di persone, tra cui migliaia di calciatori, merita altrettanto. Se non ora, quando? Signor Presidente, la palla è nel suo campo”.

Dall’altro lato, però, c’è la federazione di Israele che ha bollato la richiesta palestinese come un “cinico tentativo per indebolire il calcio israeliano”. Moshe Zuares, presidente della federazione di Israele, è un fiume in piena: “La vita degli israeliani è diventata un inferno dopo il 7 ottobre, sette mesi dopo quel terribile giorno, quando le partite di calcio non possono essere giocate in gran parte di Israele, nel nord e nel sud, e più di 130 israeliani sono ancora detenuti a Gaza, è un’ingiustizia che anche in queste circostanze ci troviamo a lottare per i nostri diritti fondamentali, il diritto di far parte del gioco”. Zuares ha denunciato: “Siamo di fronte a un tentativo cinico, politico e ostile da parte dell’associazione palestinese di danneggiare il calcio israeliano. Niente mi renderà più orgoglioso che guidare, in futuro, quando l’atmosfera sarà giusta, una squadra israeliana in una partita amichevole contro i palestinesi. Ciò contribuirà sicuramente a un futuro migliore per entrambi i popoli. La mia mano è sempre tesa, anche se l’altra rimane serrata”.

Ma il caso di Israele appare già più spinoso dal momento che Tel Aviv tutto è fuorché una potenza “nemica” dell’Occidente. Quindi, per Gianni Infantino, che è già alle prese con il progressivo ridimensionarsi delle ricche ambizioni del mondiale per club, è un bel dilemma. Intanto, la richiesta presentata dalla Pfa ha già trovato il pieno supporto della federazione calcistica della Giordania. Presto altre federazioni, sulla spinta dei loro governi o guidate dalle loro sensibilità, potrebbero decidere di appoggiare la mozione. Per il momento, la Fifa ha annunciato che la questione verrà dipanata non oltre il 20 luglio prossimo. Che, detta così, sembra una dimostrazione di celerità e prontezza. In realtà, la Federazione mondiale si è presa altri due mesi abbondanti per tentare di valutare il da farsi, decidere la via da seguire salvando (possibilmente) capra e cavoli e delegando la responsabilità delle scelte a una “consulenza legale” e, in ultima analisi, al voto del Consiglio Fifa.

Infantino, per ora, si tiene sul vago e fa dichiarazioni ecumeniche: “Il calcio non deve e non dovrebbe mai diventare ostaggio della politica e restare sempre un vettore di pace, una fonte di speranza, una forza del bene, che unisce le persone invece di dividerle”, ha affermato. Quindi ha annunciato la “consulenza legale” e ha aggiunto: “Le proposte della Pfa rientrano nella competenza del Consiglio Fifa e devono quindi essere trattate da questo organismo. Ora, data l’evidente delicatezza di queste questioni, la Fifa incaricherà, fin d’ora, esperti legali indipendenti per analizzare e valutare le tre richieste e garantire che gli statuti e i regolamenti della Fifa siano applicati nel modo corretto al fine di garantire un processo giusto e dovuto. Questa valutazione legale dovrà tenere conto degli input e delle rivendicazioni di entrambe le federazioni affiliate. I risultati di questa analisi e le raccomandazioni che seguiranno da questa analisi saranno successivamente inoltrati al Consiglio Fifa”.

Al momento, ci sono soltanto due certezze. La prima è che la decisione sulla permanenza di Israele all’interno della Fifa non sarà discussa a Bangkok dove è in programma il 74esimo congresso mondiale della federazione calcistica internazionale. La seconda, invece, riguarda la sospensione della vendita dei biglietti per il match tra Belgio e Israele: si temono disordini, contestazioni e scontri in un Paese in cui la diaspora musulmana è forte.


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