Iris, dove la stella Michelin brilla senza troppi, inutili, formalismi
Spesso, troppo spesso, nei ristoranti si confonde la forma con la formalità, cosa che a me fa passare la fame. Motivo per il quale una stella Michelin non fa su di me in automatico leva per scegliere un posto dove sedermi, sentendomi garantito nel soddisfare appetiti di varia natura: non solo cibo ma anche arte del ricevere, che poi è sinonimo di arte del dare. E se si dà prigionieri di formalismi ingessati, è quasi meglio prendere e basta. Diciamo che ormai non ha più senso per me andare dove il cibo si mangia con gli occhi e si commenta con frasi altisonanti tipo “che bella acidità!”.
Poi arrivo all’Iris, nel cuore di Verona, e faccio pace con me stesso e con un’idea che rischiava di diventare pregiudizio. Giacomo Sacchetto ha portato una stella Michelin, ma anche una cucina che fa godere senza troppi sofismi. Non fraintendetemi: qui si gioca ad altissimi livelli, con piatti studiati nei minimi dettagli e ingredienti che sembrano usciti da una favola contadina. Ma la mano dello chef non si perde nei ghirigori: punta dritto al cuore e al palato con piatti che raccontano storie, ma senza diventare noiosi monologhi.
Il menu è diviso in due percorsi. Raccontami è un’ode alla tradizione veneta rivisitata con estro e rispetto, mentre Adriatico e dintorni è un’immersione in otto portate tra i sapori del mare. La firma di Sacchetto è chiara: alternanza di freschezza, acidità e note amare, con una leggerezza che accompagna ogni boccone senza far rimpiangere una cena abbondante.
Se scegliete il menu Raccontami, preparatevi a un viaggio tra sapori intensi e accostamenti sorprendenti. Il cervo con mostarda di mele campanine, olio all’eucalipto e croccanti d’autunno è l’equilibrio perfetto tra dolce, selvatico e balsamico. Una battuta di cervo al coltello, mantecata con capperi e salsa di selvaggina, si incontra con spuma di burro nocciola e croccanti di zucca e carota, per un morso che profuma di bosco.
Poi arriva uno dei piatti simbolo di Iris: il riso al chiaretto di Bardolino con storione, rapa rossa e rosa. Non un semplice risotto, ma un quadro a base di vino veronese e pesce marinato, con schizzi di riduzione di rapa rossa che richiamano il dripping di Marchesi. Bello da vedere, ma soprattutto un piacere per il palato, con un equilibrio perfetto tra la dolcezza della rapa e la sapidità dello storione.
Tra i secondi spicca il germano con olivello spinoso, noci nere, cavolo al melograno e castagne: il petto del volatile è scottato in padella e accompagnato da un gel di olivello spinoso, cavolo cinese dell’orto dello chef marinato nell’aceto di melograno, e una crema di castagne che abbraccia tutto con la dolcezza dell’autunno.
Lascio spazio per la prossima vita al menu di mare: una celebrazione della materia prima con un tocco di creatività. L’inizio è spiazzante: tonno rosso, soia, pomodoro, olio di mandorla e mela verde. Il piatto più iconico? Lo spaghetto turanico con canocchie, asparagine e liquirizia. Ed è solo l’inizio.
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