INTERVISTA – Generale Figliuolo: “In Libano Unifil deve essere in condizione di esercitare reale deterrenza sul campo”
FRANCESCO PAOLO FIGLIUOLO GENERALE
Dopo Gaza, Libano e la Siria. Il Medio Oriente è in subbuglio totale. Unifil continua a monitorare la cessazione delle ostilità tra Israele e Hezbollah, garantendo che non ci siano più violazioni lungo la Blue Line. Le forze di peacekeeping dell’Onu, composte da circa 10.000 soldati di diversi Paesi (tra cui Italia, Francia, Spagna, Ghana), sono state spesso oggetto di intimidazioni e minacce, che hanno aumentato le difficoltà operative, come nel caso degli attacchi agli italiani e francesi negli anni passati. Ne parliamo con il Generale Francesco Paolo Figliuolo, alla guida del Covi (Comando operativo di vertice interforze) per fare il punto della situazione proprio in un momento di svolta per il Medio Oriente.
Generale, l’aspetto cognitivo sta assumendo una sempre maggiore importanza nelle nuove operazioni militari. Lo studio dei social, la percezione che ha la società degli avvenimenti potrebbe essere utilizzata in modo efficace per esempio dal contingente Onu in Libano per far comprendere meglio alle popolazioni coinvolte il ruolo svolto dal contingente Unifil nell’area. Cosa ne pensa?
È necessario affrontare in modo sistemico le sfide poste da tecnologie e ambienti emergenti. La dimensione cognitiva influisce sulle operazioni militari perché sfrutta armi virtuali capaci di generare effetti reali, facendo leva sulle paure e sulle incertezze delle persone, condizionando l’opinione pubblica e manipolando gli orientamenti dei decisori politici. In Medio Oriente stiamo assistendo, contemporaneamente, a un conflitto armato e a uno scontro tra sistemi valoriali concorrenti, che si concretizza in una guerra di narrative sulle reti di comunicazione. In Libano, come in altri scenari di crisi, capire come la popolazione locale percepisce il conflitto e il ruolo di Unifil è cruciale per decidere in che modo la missione Onu dovrà proseguire e come il mandato della risoluzione 1701 dovrà essere rafforzato.
I social network hanno un ruolo fondamentale.
Sono uno strumento prezioso per “leggere” l’ambiente informativo, misurare l’efficacia delle attività sul terreno e calibrare il nostro approccio. Ma non basta monitorare, dobbiamo saper comunicare e interagire con la gente, raccontando in modo trasparente in che modo Unifil potrà impegnarsi a ristabilire quella sicurezza nel sud Paese che gli stessi caschi blu hanno garantito per molti anni.
Quali soluzioni per migliorare la comunicazione strategica permetterebbero di contrastare la disinformazione e la propaganda?
Disinformazione e propaganda possono minare anni di lavoro sul territorio. Non presidiare gli spazi dedicati alla comunicazione significa lasciare campo libero a narrazioni distorte che possono compromettere la sicurezza di chi opera per ristabilire e mantenere la pace. Da parte nostra, non dobbiamo commettere l’errore di pensare che le “guerre a colpi di post” non ci riguardino. Dobbiamo sapere con quali strumenti e modalità poter contrastare le fake news. Per questo motivo, la Difesa investe in nuove tecnologie e ha a disposizione personale specializzato in diversi settori: dalla pubblica informazione, alle comunicazioni operative, sino alla sicurezza cibernetica. In Libano, la vera sfida sarà utilizzare queste capacità senza mai mettere in discussione il principio sul quale si incardina il mandato di Unifil: l’imparzialità.
Come neutralizzare queste “armi” non convenzionali?
La disinformazione e la propaganda delle organizzazioni terroristiche si fondano sulla violenza e sull’odio, che tuttavia sono ideologie fallimentari. È comunicando e praticando la tolleranza, il dialogo e il rispetto reciproco che si combatte l’odio, anche quello sui social network. È una strada lunga, ma è l’unica che può condurre alla speranza di un futuro in cui siano garantiti la pace e i diritti fondamentali dell’uomo. Vede, Unifil nasce all’indomani della guerra tra Israele e Hezbollah nel 2006. Nei diciassette anni successivi la situazione complessiva è stata relativamente stabile e siamo riusciti a far sedere Tel Aviv e Beirut allo stesso tavolo, nell’ambito del Forum Tripartito, presieduto dal Comandante di Unifil.Oggi le cose sono diverse e il conflitto in atto è il tassello di un profondo mutamento geopolitico in corso in tutto il Medio Oriente. Questa situazione è aggravata da una debolezza delle Organizzazioni Internazionali e questo è un altro limite che nella “Guerra dei trentatré giorni” era poco evidente. Diciotto anni fa il conflitto in Libano cessò grazie a una decisione unanime del Consiglio di Sicurezza.
L’Onu però sembra fortemente indebolito.
Oggi l’Onu presenta delle crepe importanti al suo interno a causa del deterioramento dei rapporti tra i membri permanenti. Sarà difficile decidere all’unanimità per un rafforzamento del mandato di Unifil, ma credo che ogni sforzo debba comunque essere orientato in quella direzione. Servono regole di ingaggio più stringenti che consentano ai caschi blu di ricorrere all’uso proporzionato e graduale della forza per proteggere il personale, le strutture e le installazioni delle Nazioni Unite, ma anche per garantire che l’area di operazioni sotto loro responsabilità non venga utilizzata per attività ostili.
Quali?
Come ha ricordato il ministro Crosetto, è importante che si preveda la presenza di forze di riserva rapidamente schierabili e che possano garantire la piena libertà di manovra delle unità. Inoltre, è necessario che l’equipaggiamento e le dotazioni delle unità siano ancor più adeguate al nuovo contesto operativo, per mettere Unifil nelle condizioni di esercitare una reale deterrenza sul campo. Parallelamente, considerato che le Forze Armate libanesi (Laf) rappresentano un partner strategico per la comunità internazionale, è doveroso rimarcare che l’Italia, coinvolta non solo in ambito Unifil ma anche in iniziative bilaterali e multilaterali, si sta già facendo carico, in maniera congiunta con gli stakeholders internazionali, di addestrare le Lad, di promuovere il reclutamento e l’equipaggiamento per rafforzare il dispositivo militare, adeguandolo alle nuove esigenze operative. Il principale compito di Unifil è proprio quello di sostenere le Laf nel mantenere la sicurezza nel sud del Paese.
I risultati con l’esercito libanese sono stati scarsi.
Questo obiettivo è stato solo parzialmente raggiunto, perché le stesse Laf non hanno ancora la capacità di fare quello che è previsto dalle risoluzioni 1559 del 2004 e dalla stessa 1701, ovvero disarmare Hezbollah e demilitarizzare l’area compresa tra la Blue Line e il fiume Litani.
Non ritiene che Unifil abbia fallito, almeno agli occhi dell’opinione pubblica, in riferimento al fatto che non è riuscita a limitare gli attacchi di Hezbollah entro i 10 km della Blue Line? Di fatto ciò ha dato alle Idf i “presupposti” per rispondere militarmente in maniera minacciosa anche nei confronti dell’Onu.
Nonostante i limiti del mandato di Unifil, i caschi blu hanno comunque assicurato per lungo tempo la protezione e l’aiuto alla popolazione civile, hanno messo in atto progetti di cooperazione civile-militare a favore di enti benefici libanesi, di scuole e di strutture socio-sanitarie impegnate a garantire alla popolazione condizioni di vita più dignitose, hanno avviato una campagna di sminamento delle aree interessate dalla guerra del 2006. Il contributo offerto da Unifil è stato concreto e importante. Senza la forza Onu nel sud del Libano, la situazione sarebbe precipitata molto prima e con conseguenze ben peggiori.
Dunque non ha un mandato robusto di enforcement e ha una capacità limitata di prendere misure dirette contro le violazioni del cessate il fuoco o altre attività ostili. È una forza internazionale di mantenimento della pace e non di imposizione della pace. Da peacekeeping a peace enforcing, è fattibile secondo lei?
Credo che passare a una missione di peace enforcing sia fattibile, ma non nel breve periodo. Unifil è una missione che si fonda sul consenso dei governi libanese e israeliano. I caschi blu possono mantenere la pace laddove essa esista o possa essere ripristinata, ma non possono imporla con la forza. Da Comandante Operativo di Vertice Interforze credo che, nell’opera di mediazione tra Israele e Libano, alla luce della tregua finalmente raggiunta tra i due Paesi, noi italiani possiamo fare molto. Siamo forti del fatto che riusciamo a parlare con tutti gli attori sul campo, perché le nostre Istituzioni e le Forze Armate hanno una credibilità e una reputazione che si sono costruite nel tempo. Non a caso, da più parti viene chiesta la nostra presenza sul terreno, dal Libano all’Iraq, dal Kuwait alla Palestina, solo per citare alcuni dei teatri operativi in cui siamo schierati.
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