Politica

Intervista a Vannacci: “Per la pace in Ucraina serve una nuova Jalta. Possibile con le prossime presidenziali Usa”

di Redazione -


di ANNA GERMONI
Divisivo, ne va fiero. Uomo di comando, azione e mente rapida. Sa il fatto suo. Non si fa manovrare. Accetta la dialettica educata e non si sottrae al confronto. È un battitore libero. Il generale Roberto Vannacci, candidato indipendente alle europee nella Lega, accetta la sfida di parlare di temi annosi e delicati.
Come sta innanzitutto?
«Sto bene. Un po’ stanco ma vado avanti, stavo peggio quando mi sparavano addosso».
Se dovesse essere eletto come parlamentare europeo, per la carica che ha rivestito e per il suo eccellente cv operativo, sarebbe uno dei massimi esperti sulla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Quale impronta vorrebbe dare?
«Credo che la sicurezza sia il primo dei requisiti di una società civile ed è la tematica più importante che l’Europa si trova ad affrontare. Però dietro lo slogan di un esercito comune europeo, si cela una realtà ben diversa. Io non sono per una difesa comune europea, intesa come una sorta di unità nella quale debbano confluire le forze armate dei vari stati sovrani. Anche perché le forze armate sono l’espressione della sovranità nazionale di uno stato e quindi se si cedesse a una entità sovranazionale si creerebbe un problema di ulteriore sovranità e non sono affatto d’accordo, perché minerebbe l’esistenza stessa della patria, perché ricordiamoci uno Stato è definito quando ha un popolo, un’autorità governativa che difende il territorio e i suoi cittadini tramite l’ausilio delle forze armate. Cedendo le forze armate si consegnerebbe di conseguenza anche il nostro Stato».
Macron è pronto ad aprire un dibattito sulla difesa europea anche con l’atomica. Cosa ne pensa?
«Se noi ragionassimo come Macron, avremmo i nostri figli già in guerra. Io non lo voglio in maniera categorica».
Come giudica l’integrazione industriale europea?
«Se si dovessero realizzare delle sinergie a livello industriale, collaborazioni, messe in comune di alcune capacità non essenziali ai singoli stati, si potrebbero creare ottimizzazioni con tutti i Paesi, dove si privilegerebbe l’utilità per tutti, ci si potrebbe ragionare studiandole per bene».
La scomparsa di Franco Di Mare, affetto da mesotelioma, conseguenza del suo coraggioso lavoro di inviato di guerra. La sua tragica morte, infrange il silenzio istituzionale sull’uranio impoverito. Lo conosceva?
«Sì. Ho espresso pubblicamente la mia vicinanza a lui e alla sua famiglia quando era ancora in vita. Questa è l’ennesima morte di una persona senza essere consapevole dei rischi operativi dovuti soprattutto all’uranio e ai metalli pesanti. Non lo dico io, ma lo studio Signum (studio sull’impatto genotossico nelle unità militari, ndr), che è stato finanziato e promosso dal ministero della Difesa nel 2002 se non sbaglio, pubblicato nel 2011. Lo stesso studio Signum, è stato svolto in Iraq, proprio perché lì è stata dimostrata la presenza massiccia di uranio impoverito. Tutti gli organi competenti erano al corrente di questo rischio».
Ha fatto due esposti su questo, alla procura militare di Roma, l’altro alla procura ordinaria della capitale. Come è andata a finire?
«È stata richiesta l’archiviazione dal magistrato, con una motivazione molto “strana”, ovvero la vasta complessità del problema. Tale complessità pone il pm, nella difficoltà di non individuare chi sia il responsabile e chi non lo sia».
Il gip ha decretato l’archiviazione?
«Non ho informazioni a tal riguardo».
Le guerre russo-ucraina, israelo-palestinese, hanno polarizzato l’attenzione internazionale e i media. Non si riesce a trovare una soluzione diplomatica. La Nato continua ad armare l’Ucraina. È la scelta migliore?
«Ritengo fermamente si debba ricercare la pace con qualsiasi mezzo. Inoltre, con le prossime elezioni americane di novembre, si potrebbero concretamente creare le condizioni di una nuova Jalta, in quanto non posso pensare che Putin sia peggiore di Stalin. Se Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill sono riusciti trattare e negoziare una pace, donandoci 50-60 anni di tranquillità con Stalin, credo anche oggi che questo sia possibile e mi auguro che una circostanza si verifichi. È chiaro che diventa imbarazzante proporlo con chi ha dato al presidente Putin del “macellaio” o “dell’assassino”, uscendo dalla normale dialettica tra capi di Stato».
Per il conflitto israelo-palestinese, quale soluzione?
«Questo conflitto non è altro che il prosieguo delle guerre arabo-israeliane, iniziate nel 1948 e che non sono mai finite. Fin quando non si troverà il modo di far convivere due popoli in due stati, di modo che si possa raggiungere un equilibrio che renda sconveniente per tutti e due l’agire con metodi violenti, questo conflitto non sarà mai risolto».


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