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Intervista a Mauro Trogu, avvocato di Beniamino Zuncheddu: “Dare valore alla verità”

di Anna Lina Grasso -


Una storia vera e sconvolgente, scritta come un romanzo a due voci, quella della vittima Beniamino Zuncheddu e del suo coraggioso avvocato, Mauro Trogu: “Io sono innocente”, edito da De Agostini è un dramma-thriller che adotta una narrazione ricca di colpi di scena, di aneddoti, ma soprattutto di umanità e di empatia, con il difficile tentativo di far comprendere l’incomprensibile. 

Purtroppo è inquietante apprendere che chi fa le indagini, e rappresenta lo Stato in questo, le pieghi al suo volere a noi inconcepibile. La Giustizia, quando inciampa in tali aberrazioni, diventa matrigna e genera profonda sfiducia nel cittadino verso sé stessa.

Nel caso in questione la domanda che tutti si chiedono è: ci potrà essere mai ricompensa, di quale tipo poi, per un uomo a cui sono stati sottratti 33 anni di vita?

Qual è stato l’elemento principale che le ha fatto credere nell’innocenza di Zuncheddu? 

La convinzione è nata piano piano. In un primo momento la semplice lettura delle sentenze di condanna mi ha fatto capire che Beniamino era stato giudicato sulla base di prove inconsistenti. Poi i sopralluoghi fatti con il gruppo di consulenti coordinato dal dott. Simone Montaldo mi hanno fatto convincere che alla base della condanna ci fosse una prova falsa. Nel mentre approfondivo la conoscenza di Beniamino, la sua ferma e mite professione di innocenza era straordinaria. La sua personalità era totalmente lontana da quella che avrebbe dovuto avere il killer. Alla fine è arrivata l’intercettazione della confessione nella quale il testimone oculare svelava la falsa testimonianza e la frode innescata dagli inquirenti a danno di Beniamino.

Cosa vorreste che rappresentasse questo libro? A chi è rivolto principalmente? 

È rivolto a tutti. Vorrei che tutti i cittadini potessero leggere e prendere spunto da questa tragica vicenda umana per riflettere su come viene amministrata la giustizia nel nostro paese. Ma vorrei anche che si conoscesse l’enorme forza e capacità di resistenza civile di Beniamino, pochi uomini sarebbero stati capaci di fare quel che ha fatto lui. Infine piacerà sicuramente a coloro ai quali piacciono i torbidi misteri italiani.

Cosa l’ha colpita particolarmente del suo assistito? 

La sua calma fermezza nel ribadire la sua innocenza ed essere pronto a sostenerla a tutti i costi, anche a costo di perdere la libertà. Non è da tutti dare così tanto valore alla verità. Beniamino a tratti è quasi mistico.

Può raccontarci l’evoluzione emotiva di Beniamino Zuncheddu, dalla prima volta che ha parlato con lui fino all’assoluzione? 

Inizialmente appariva più rassegnato che speranzoso, anche se la speranza non l’ha mai abbandonato del tutto. Forse inizialmente non credeva tanto in me. Poi, quando ha visto che il lavoro che avevo deciso di fare iniziava a dare frutti, ha cominciato a diventare più impaziente, non vedeva l’ora che la sua innocenza fosse riconosciuta in una sentenza, e fremeva. Una volta che il processo di revisione è iniziato, era convinto che sarebbe stato scarcerato subito e invece questo non è accaduto. Lo hanno tenuto in esecuzione di pena per altri tre anni, e questo lo ha gettato nello sconforto. Sembra un paradosso, ma il peggio per lui è arrivato proprio quando sono state definitivamente acquisite le prove della sua innocenza. Ha avuto un crollo psicofisico che ci ha fatto spaventare tutti. Quando è stato finalmente scarcerato, è uscito dal carcere in condizioni pietose. Ha trascorso i primi sette mesi di libertà cercando di curare le malattie che in carcere non curavano, e ancora adesso si sta preoccupando della sua salute.

Cosa risponde a chi sostiene che si tratta semplicemente di una incriminazione dovuta ad una testimonianza illecita da parte di un poliziotto e non di errore giudiziario? 

Direi loro due cose. La prima, che si leggessero il codice di procedura penale: è il codice che definisce questo genere di condanne “errore giudiziario”. La seconda, che si leggessero le carte dei processi a carico di Beniamino, provassero a mettersi un attimo nei suoi panni, e poi si domandassero che cosa si sarebbero aspettati dai giudici. Sono sicuro che nessuna persona accetterebbe di essere condannata sulla base di quelle prove, anche quando la loro falsità non era palese ma solo sospetta. I giudici avevano in mano tutti gli elementi quantomeno per sospettare che quel che era accaduto non fosse regolare.

Qual è la differenza primaria tra giustizia e legge? Come si potrebbe arrivare alla loro equivalenza? 

Non sono concetti tra loro ponderabili. Giustizia è un concetto filosofico prima ancora che giuridico. Ognuno può intenderlo come preferisce, a seconda dei propri valori etici, politici e religioso. Legge invece è un concetto prettamente giuridico (anche se può essere declinato anche in altri ambiti extra-statali), indica la forma delle regole che ci siamo dati nel nostro Stato. Possiamo dire che nel mondo del diritto non ci può essere giustizia formale se non si rispetta la legge. Ma alle volte anche il rispetto della legge può generare decisioni che appaiono ingiuste.

Qual è stato il momento più difficile che ha dovuto affrontare e che l’ha scoraggiata? 

Tutte le volte che è stata negata la scarcerazione a Beniamino, quando ritenevo sussistenti i presupposti per la sua liberazione.

Il positivismo giuridico sostiene che la giustizia ha una validità esclusivamente storica e non è un valore giustificabile con la ragione. La giustizia è un ideale irrazionale? 

È vero, a seconda del concetto di giustizia che si abbraccia, si può sostenere che essa abbia una validità storica. Ma al positivismo si contrappongono anche altre teorie del diritto che la vedono diversamente, in primis il giusnaturalismo. Ad ogni modo io non credo che la giustizia sia un ideale irrazionale, perché è pur sempre un concetto generato dalla ragione umana. Forse è un ideale irraggiungibile, ma pur sempre razionale.


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