Esteri

Intervista a Bernard Selwan El-Khoury: “Senza forze armate il Libano rischia il caos. Italia e Unifil centrali”

di Eleonora Ciaffoloni -


Cessate il fuoco, Libano, Israele, Siria e Iran. Temi caldissimi che sono stati al centro dell’incontro “Il nuovo Medio Oriente” organizzato da Cosmo (Center for Oriental Strateging Monitory), alla presenza dell’onorevole Souad Sbai. A darci un quadro ampio di quanto sta accadendo in Medio Oriente ha parlato a L’identità il direttore di Cosmo Bernard Selwan El-Khoury.

Tra Israele e Libano si è arrivati al cessate il fuoco. Durerà?
Sicuramente fino al 6 gennaio non succederà nulla. La diaspora libanese è molto ampia. In Libano, ci sono 4 milioni di abitanti, fuori ce ne sono quasi 20. La maggior parte di questi ha le famiglie in Libano, tanti aspettano il periodo natalizio per tornare a casa. A Beirut le festività sono molto sentite e il Paese si è addobbato a festa. Bisogna vedere che cosa accadrà dal 6 gennaio. Io non sono molto ottimista: se l’esercito libanese non avrà la forza necessaria di schierarsi a sud del fiume Litani, questa tregua durerà pochissimo. Hezbollah sta aspettando qualsiasi errore da parte di Israele, perché ormai è politicamente e militarmente morto e sta aspettando l’occasione per rimarcare il fatto che senza armi a Hezbollah, l’esercito libanese non può tutelare la popolazione. Questa è la più grande sfida: dimostrare a Hezbollah che invece uno Stato si regge sulle proprie forze armate, che sono le uniche e possono essere sovrane sul proprio territorio, e decidere momenti di guerra o di pace. La seconda sfida è permettere alle Laf (Forze armate libanesi, ndr) di fare questo e oggi non è possibile. Fino a oggi i Paesi sunniti non hanno più investito nel Paese per fare pressione su Hezbollah, che fa parte del Libano e deve giocare secondo le regole della Repubblica. Se non lo fa il rischio è che questa volta lo scontro coinvolga tutto il Libano. Perché, come ha detto Israele la responsabilità adesso è di tutto lo Stato.

Quanto ha inciso su Hezbollah la crisi in Siria?
La caduta del regime in Siria è il colpo finale per Hezbollah, perché lì avevano schierato i suoi quadri che operavano lì e davano supporto alle forze di Assad. Dopo l’ingresso delle forze ribelli ad Aleppo, a Hama, dove si trovavano gli esponenti di Hezbollah, in molti sono morti in qualche bombardamento israeliano e quelli sopravvissuti sono riusciti a rientrare, ma l’organizzazione è decapitata.

Il ruolo di Unifil sulla Linea Blu, oltre ad essere di deterrenza, è anche politico?
Il ruolo politico che svolge Unifil è fondamentale. L’Italia è il Paese che contribuisce più ed è un messaggio forte. Unifil è lì dal 1976, dal 2006 ha rafforzato la sua posizione dopo la Guerra dei 33 giorni tra Israele e Hezbollah. Da un punto di vista militare con i bombardamenti israeliani il contingente Unifil ha vissuto due mesi dentro i bunker, ed è stato un po’ inefficace. Ma sono caschi blu, sono lì come elemento di deterrenza. A Beirut abbiamo una missione, MTC4L (Military Technical Commission For Lebanon) ed è citata nell’accordo di cessate il fuoco: il loro compito è quello fare addestramento alle Laf e il loro ruolo diventa fondamentale.

E il ruolo dell’Italia?
L’Italia in Libano ha un ruolo centrale, ma ad oggi è ancora timida per dirlo. C’è ancora un approccio di poca esposizione, ma si può fare senza necessariamente schierarsi. C’è una percezione degli italiani ineguagliabile rispetto agli altri Paesi occidentali. Sfruttiamola.

Parliamo di crisi siriana: quanto è reale il cambiamento? C’è possibilità di tornare a un regime come quello di Assad?
Peggio del regime di Assad non c’è nulla. E questo lo può dire solamente chi lo ha vissuto. In Occidente non si ha la percezione. C’è un modo ideologizzato di guardare a quel regime e non lo biasimo, perché c’è un’assenza di conoscenza. Io l’ho visto con i miei occhi e come me milioni di libanesi. Posso affermare che non potrà tornare nessuna forma di governo più spietata di quella di Assad. Ora, all’interno di questa coalizione ci sono frange che possono sembrare estremiste, ad esempio l’Hts, Al Jolani, erano un’ala di al-Qaeda e oggi si presentano come Salafiti. Ma quando vieni messo di fronte alla politica, lì non c’è più la religione. La politica significa amministrare, dare risposte. E se al popolo non garantisci le risposte che deve dare la politica non reggi. Per loro sarà una sfida e non possono imporsi. Non potrà esserci un nuovo regime dopo l’olocausto che hanno vissuto in tutti questi anni. Un olocausto su base etnica, ma su base ideologica politica: oppositori, attivisti, difensori dei diritti umani. Se ne parla in Libano perché i siriani lo hanno applicato lì quel potere dal 1976 al 2005.


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