Economia

L’intelligenza è artificiale ma le allucinazioni sono reali

di Giovanni Vasso -


L’intelligenza artificiale soffre di allucinazioni. E noi appresso a lei. Forse, allo stato attuale, l’impatto della tecnologia che promette di travolgere tutto e tutti non sarà così devastante come si credeva. E di certo non per “merito” delle normative e dei solenni impegni politici e istituzionali che si stanno prendendo su un fronte caldissimo dell’hi-tech. Ma, più semplicemente, perché l’intelligenza artificiale soffre, appunto, di allucinazioni. Nel gergo tecnico, l’allucinazione dell’Ai è, semplicemente, l’errore dell’algoritmo che conferisce a chi lo consulta informazioni false spacciandole per vere. È un problema mica da niente: senza scomodare la logica aristotelica, va da sé che basare un ragionamento e una risposta su premesse false, errate o comunque non precise, porta a conclusioni sballate, cervellotiche, assurde. Che, però, i programmi sostengono a spada tratta. Un po’ come uno studente impreparato che, interrogato all’esame dal professore, parla e straparla confidando nella distrazione del docente pur di sfangarla. Insomma, un disastro.
Di allucinazioni se ne parla da mesi. Anzi, se ne scrive seppur sommessamente da più di un anno. La narrazione a proposito è andata, però, cambiando nel giro di poche settimane specialmente nel caso di ChatGpt, la prima intelligenza artificiale a essere “pubblicata”. Prima si faceva riferimento a questi macroscopici errori come a bug, sbagli, intoppi informatici che, tutto sommato, sarebbero accettabili e sui quali si può intervenire senza, per questo, mettere in discussione tutta l’impalcatura di programmazione. Epperò gli errori possono avere conseguenze, pesantissime, sulla vita di chi li subisce. Come, per esempio, è accaduto a Brian Hood, sindaco di un piccolo centro in Australia, che s’è visto appioppare da ChatGpt un’inesistente condanna per corruzione. Beffa nella beffa: lui era stato pur implicato in un caso di corruzione ma dalla parte di chi contribuì a denunciarla. Peggio ancora è andata al professore della George Washington University, Jonathan Turley, che l’Ai ha inserito nell’elenco dei molestatori sessuali affibbiandogli, sulla scorta di un articolo inesistente attribuito, falsamente, al Washington Post, l’aggressione ai danni di una studentessa durante una fantomatica gita in Alaska. Stato in cui il professore, almeno in gita, non c’è mai andato. Vicende che stanno ritornando d’attualità soltanto ora. Perché è necessaria una legislazione che difenda chi si ritrovi stritolato da un “bug” e possa veder sbriciolata la propria esistenza. Inoltre, c’è il grande tema dell’oligopolio digitale che è diventato il vero (e forse ultimo) banco di prova per la politica occidentale.
Queste vicende, grandissime, fanno il paio, adesso, con un’altra grande allucinazione. Vuoi vedere che l’Ai, “venduta” come apocalittica macchina per far soldi a discapito del lavoro e della vita come l’abbiamo conosciuta, forse non è davvero così potente? Non si può commettere l’errore di svalutare il potenziale di una tecnologia tanto invasiva quanto promettente. Tuttavia qualcosa sta succedendo. Almeno dentro OpenAi dal momento che, dopo l’alzata di scudi di un anno fa contro l’allontanamento di Sam Altman, adesso se ne stanno andando via tutti i cofondatori. C’erano undici manager, all’atto della fondazione, nel 2015. Ad Altman gliene sono rimasti due. A giugno, guarda caso, venne pubblicata una lettera dei dipendenti molto scettica sui problemi di ChatGpt e l’azienda quasi li obbligò a firmare l’impegno a non sparlare in pubblico dell’Ai. A complicare tutto, poi, il fatto che il tanto atteso aggiornamento è stato pubblicato soltanto nelle scorse ore quando, invece, lo si attendeva già da settimane.
Fatti che hanno conseguenze. Su cui non si può più far finta di nulla. Intel, grande produttrice di chip, ha perduto in pochi mesi qualcosa come il 40% del suo valore in Borsa e minaccia fino a 15mila licenziamenti. Nvidia, il colosso che soltanto un anno fa rivaleggiava con Saudi Aramco in termini di capitalizzazione, soltanto adesso ha ritrovato sprint e slancio dopo aver passato momenti di crisi e tensioni dovuti alle vendite degli azionisti.


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