I più “puliti” in Europa, perché siamo tra i Paesi che consumano di più per l’igiene personale quotidiana? Le classifiche e le infografiche si sprecano, i report si inseguono, le analisi sono sempre più ricorrenti, puntualissime in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua o qualora accorsatissimi network elaborino i loro studi per dire, ricordare, indicare, suggerire cosa fare per consumare meno acqua. Senza dimenticare il necessario corollario delle associazioni ambientaliste, le più “fastidiose” per chi non soffre di eco-ansia e vive il degrado ambientale come fattore di stress, che rammentano ciclicamente quanto questo Paese sia realmente inguaiato e viva una contingenza che ci porterà al 2040 – dice il World Resources Institute – ad un significativo “stress idrico”. Lo strappo finale che rischia di consegnare l’Italia a quel quadrante geografico che l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale individua oggi solo in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia.
Il fattore che i più dimenticano è però quello che si affianca alla siccità, la dispersione idrica. Solo pochi giorni fa lo ha ricordato al Parlamento l’Ance. Le perdite di acqua negli impianti di distribuzione dello Stivale ammontano al 42%,2%, pari a 157 litri per abitante. Come a dire, ogni italiano prima di lavarsi è già “colpevole” di aver buttato via litri e litri di acqua, almeno mezzo litro al giorno o poco meno. “Italia colabrodo”, abbiamo scritto. Ma la cosa va ricordata e ribadita. Rammentata persino al commissario del Governo, Nicola Dell’Acqua: di tutto potrà essere accusato il governo Meloni, ma non di trascurare la necessità di far sorridere un poco gli italiani, avendo messo proprio il veronese di Castelnuovo del Garda ad occuparsi del problema collegato ad una parte del suo cognome.
L’Italia ha sete di acqua, ma ne perde tanta. Le maggiori criticità al Sud, con i valori più rilevanti delle perdite in Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%). L’Ance, giorni fa, provava a chiedere di “aumentare la spesa pubblica per gli investimenti nelle infrastrutture idriche”. Ovvio, allora, che non basti la decisione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di mettere a disposizione 102 milioni di euro stanziati per urgenti interventi di gestione idraulica in 5 regioni italiane. Sempre l’Ance ha pure ricordato che il Def indica un fabbisogno di 13,3 miliardi, di cui 5,1 sono risorse già disponibili o programmate. Quindi, al momento, mancano 8,2 miliardi. Una cifra destinata ad aumentare.
Intanto, sono ancora nel cassetto di qualche ministero – semmai al Mase dove il governo Draghi instaurò una task force volatilizzatasi non appena il passaggio di consegne a Meloni ha definito il nuovo organigramma – le carte del Piano Invasi e del Piano Laghetti che Coldiretti e Anbi da anni hanno proposto agli ultimi governi. Non c’è settimana che il presidente Anbi, Francesco Vincenzi, o il suo direttore generale Massimo Gargano non ricordino a tutti quanto queste iniziative, se veramente e finalmente messe in cantiere, potrebbero contrastare, se non l’Italia colabrodo della ultradecennale dispersione idrica, almeno la siccità, il fenomeno che negli ultimi 2 anni ha trasformato la cartina geografica dell’Italia azzerando la portata di fiumi e laghi.