INGRANDIMENTO – Ci volevano gli hacker della sanità per scoprire i dati di Messina Denaro
Titoli invecchiati male. E dove trovarli. In rete, ovviamente. Su Repubblica, in questo caso. Che solo una settimana fa tuonava contro “il feticcio della privacy” a proposito delle polemiche sui dispositivi di riconoscimento facciale, l’evoluzione tecno-digitale delle sempiterne telecamere, refugium peccatorum di ogni politico in cerca di facili risposte al problema serissimo della sicurezza. Il catenaccio, se possibile, è invecchiato ancora peggio: “Opporsi all’impiego di tecnologia per garantire la sicurezza perché qualcuno potrebbe abusarne equivale ad affermare di non avere fiducia nelle istituzioni”. Nelle istituzioni, magari, si dovrebbe ancora avere fiducia. Nel sistema digitale e nelle strategie di cybersicurezza della nostra pubblica amministrazione, molto probabilmente, non se ne può avere altrettanta.
È accaduto che una cybergang, che si è imposta il nome Monti, strano per un gruppo di punk cibernetici ma immediatamente evocativo di lacrime e sangue per gli italiani, ha violato l’archivio digitale della sanità abruzzese. Ha mandato una letterina alle autorità chiedendo un riscatto. Che, giustamente, né la Regione né nessun altro hanno voluto pagare. Così, per vendetta, gli hacker di Monti hanno spiattellato tutti i dati che sono riusciti a rubare. C’è di tutto, montagne di dati sensibili. Dai trapianti fino alle valutazioni psicologiche, persino di minori. Ordini di acquisto, lettere di dimissioni. Addirittura si teme che sia finita in mano agli hacker, e presto pubblica, persino la cartella clinica di Matteo Messina Denaro, detenuto attualmente nel carcere de L’Aquila. Che è un bel paradosso: sarebbero bastati pochi clic per spiattellare tutta la storia clinica dell’uomo più misterioso e “riservato” d’Italia, almeno fino a qualche mese fa. Che la sanità sia facile preda degli hacker è un dato di fatto. Non solo da noi, ma in tutta Europa. Che occorra fare qualcosa per potenziare la sicurezza digitale è, adesso, innegabile. Siamo davvero sicuri che il sistema informatico italiano sia pronto per reggere l’ideona del ministro Piantedosi che vorrebbe portare a un altro livello la retorica delle telecamere di sicurezza? Che cosa accadrebbe se un plotone di cyber-criminali riuscisse a mettere le mani sui dati biometrici di milioni di cittadini? Forse, prima ancora che di “feticcio della privacy” o “fiducia nelle istituzioni” bisognerebbe parlare di cybersicurezza. Che non c’è.
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