In Italia 500 bambini nati morti per cause ambientali
In Italia sono centinaia i bambini nati morti per cause ambientali. La Società italiana di medicina ambientale (Sima) torna a sottolineare gli effetti negativi dell’inquinamento per la salute umana. Stavolta, sulla scorta di una ricerca estera.
Uno studio dell’Università di Pechino pubblicato su ‘Nature Communications’ “attribuisce all’inquinamento atmosferico tra il 39,7% e il 45,5% della natimortalità in tutto il mondo, ossia la morte fetale prima o durante il parto”.
“Su un totale di 2.132.000 bambini nati morti a livello mondiale quantificato dalle Nazioni Unite, si tratterebbe di quasi 1 milione di bambini, per l’esattezza 970.000, nati morti in 137 Paesi del mondo a causa delle esposizioni delle donne in gravidanza alle polveri sottili (una media annuale di circa 43 microgrammi per metro cubo) e a tutti i contaminanti atmosferici da esse veicolati – spiega il presidente Alessandro Miani – L’area del mondo più problematica è senza dubbio l’Asia, con circa 217mila bambini nati morti in India a causa dell’inquinamento atmosferico, cui segue il Pakistan con circa 100mila decessi. Tra i paesi con i dati peggiori figura anche la Nigeria (93mila bimbi nati morti), la Cina (64mila) e il Bangladesh (49mila)”.
“Se invece si guarda alla natimortalità in proporzione al totale delle nascite, sono i Paesi Arabi quelli in cui si osservano le maggiori criticità, con valori compresi tra il 64-66% degli Emirati Arabi Uniti e del Kuwait fino al 68-72% di Arabia Saudita e Qatar”, aggiunge Miani. Per quanto riguarda il nostro Paese, in Italia – afferma Sima – gli ultimi dati ufficiali del ministero Sella salute registrano 994 bimbi nati morti nel 2022 (contro i circa 1.200 del periodo pre-Covid), corrispondenti a un tasso di natimortalità pari a 2,40 nati morti ogni 1.000 nati. La metà di questi è potenzialmente attribuibile a cause o concause ambientali, sulla base delle risultanze dello studio dell’Università di Pechino”.
Secondo Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente Sima, “lo studio dimostra che il rischio di morte alla nascita aumenta dell’11%, in maniera statisticamente significativa, per ogni incremento di 10 microgrammi per metro cubo nella concentrazione media annuale di polveri sottili. Inoltre, al crescere dell’età materna, l’associazione tra inquinamento atmosferico e natimortalità diventa più robusta”.
“Tutto ciò è particolarmente rilevante per il nostro Paese: in Italia le gravidanze sono procrastinate in età sempre meno giovane e l’aria che respiriamo sembra essere tra le peggiori d’Europa. È di questi giorni la fotografia idealmente scattata dal satellite Copernicus e riportata da Deutsche Welle ed European Data Journalism Network, che inquadra la grave situazione dell’inquinamento atmosferico in Italia – continua Piscitelli – Il rapporto pubblicato prende come riferimento la soglia di sicurezza sanitaria per il Pm 2.5 identificata dall’Organizzazione mondiale della sanità nelle Linee guida sulla qualità dell’aria del 2005, pari a 10 microgrammi per metro cubo, rivista al ribasso nel 2021 dalla stessa Oms che l’ha portata a soli 5 microgrammi per metri cubo per minimizzare i rischi sulla salute umana. Se ci riferissimo a queste nuove soglie di sicurezza, oltre l’80% degli italiani sarebbe a rischio”.
Ma c’è anche una buona notizia. “L’inquinamento atmosferico è un fattore di rischio modificabile, per quanto attualmente di grave impatto. Infatti basterebbe limitare le nostre emissioni di polveri sottili Pm 2.5 a valori pari alla soglia di sicurezza sanitaria di 10 microgrammi per metro cubo (media annuale) fissata dall’Oms nel 2005 per evitare ben 830.000 decessi di bambini a livello globale. Purtroppo – rimarca Miani – in Italia non si registra un trend di riduzione delle polveri sottili degno di nota, mentre persino la Polonia le ha tagliate del 20% tra il 2018 e il 2022. Va tenuto presente che attualmente i limiti di legge sulla base dei quali sono tarati tutti i sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria nelle nostre Regioni e Città è più del doppio rispetto alle soglie Oms 2005 e addirittura quadruplo se si considera la revisione delle linee guida del 2021”.
“Questo significa che di fatto non viene attivato quando dovrebbe tutto il sistema degli interventi di prevenzione, a partire dalle chiusure del traffico urbano delle città, fino all’attivazione di specifiche strategie per la riduzione dei rischi sanitari a livello locale. Ed è bene ricordare che la prevenzione legata ai fattori di rischio ambientale per la salute umana rientra a pieno titolo nel Livelli essenziali di assistenza (Lea) che vanno garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale”, conclude il presidente della Sima.
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