IN GIUSTIZIA – Storia di gogna mediatica
di ELISABETTA ALDROVANDI
Estate, tempo di romanzi gialli sotto il sole. E allora, perché non rispolverare una serie di delitti efferati accaduti a Roma quasi un secolo fa, le cui vittime erano tutte bambine? La profonda indignazione popolare e la pressione mediatica indussero a stringere il cerchio delle indagini intorno a un uomo, con un impianto accusatorio in buona parte costruito ad hoc, che gli costò una condanna in primo grado e il rischio di restare in carcere a vita. Intervenne la Corte d’Appello che, quattro anni dopo, mise la parola fine al calvario dichiarando l’imputato, tale Gino Girolimoni, innocente per non aver commesso il fatto. Poche righe su un quotidiano, nella quasi totale indifferenza dei lettori, che invece si erano indignati e invocavano la forca galvanizzati dagli articoli che, a tutta pagina, dipingevano quel pover’uomo come un mostro pluriomicida nutrito dei peggiori istinti.
Tutto ebbe inizio il 4 giugno 1924. In via del Gonfalone, la piccola Bianca Carlieri cammina per strada con un signore vestito di grigio. Le ore passano e della piccola non si hanno più tracce. Il suo corpo verrà poi rinvenuto la mattina successiva nei pressi della basilica di San Paolo. Era stata violentata e strangolata. I giornali e l’opinione pubblica, sdegnati e assetati dei più morbosi e macabri particolari, si buttano a capofitto nell’avanzare ipotesi, tesi e conclusioni, spesso le più disparate. Le autorità di Polizia indagano senza sosta ma senza nessun risultato. E così, pochi mesi dopo, un’altra vittima: la piccola Rosina Pelli, anche lei violentata e ammazzata. Aveva soltanto due anni. Una strana analogia accomunava i delitti: entrambe le vittime avevano il piede destro privo della scarpetta e del calzino. Siamo alla primavera del 1925. Il maniaco omicida continua la sua opera: Elsa Berni, sei anni, viene violentata e uccisa sul lungotevere Gianicolense, e due anni dopo tocca ad Armanda Leonardi di cinque anni. Il 10 maggio 1927, la svolta: i giornali escono con titoli a tutta pagina: “Gino Girolimoni l’osceno martoriatore di bambine è stato arrestato”. E ancora: “Il cuore generoso del popolo esulta per l’arresto del turpe assassino”. Alto, capelli castani, leggermente stempiato, di aspetto distinto, Gino Girolimoni, era nato nel 1889 e faceva il mediatore di cause.
La sua “colpa”? Essere stato notato in varie occasioni nei pressi delle zone in cui vivevano le vittime, e parlare con una dodicenne a servizio presso la famiglia di un ingegnere. Fu molto facile, per le forze dell’ordine del tempo, istigate da un incitamento mediatico e popolare senza precedenti, individuare la persona giusta da accusare. Il resto lo fecero i testimoni, che si trovarono senza fatica e che puntarono il dito contro l’imputato, un ignobile pervertito meritevole di disprezzo e pubblica onta. In realtà, il giorno di uno degli omicidi Girolimoni non era a Roma, e un serie di altre prove contrarie portarono la Corte d’Appello a scagionarlo. Ma la sua vita, e la sua reputazione, erano rovinate per sempre. Perché quando per i mass media e l’opinione pubblica si diventa assassini, lo si resta, nonostante nelle aule dove si fa la vera giustizia si dica il contrario. Ma alla fine, chi era il vero colpevole di quelle violenze ed efferati omicidi? Un pastore protestante che viveva a Roma, Ralph Lyonel Bridges. Suo era il fazzoletto con ricamate le iniziali R. L. ritrovato accanto al cadaverino di Rosa Pelli. Sue le pagine bruciacchiate di un breviario in lingua inglese, rinvenute vicino al corpo della Leonardi, sue alcune pagine repertate sul luogo ove fu straziata Bianca Carlieri. Le prove c’erano fin dall’inizio. Sarebbe stato sufficiente accorgersene, senza paraocchi e senza condizionamenti.
Torna alle notizie in home