IN GIUSTIZIA – L’esposto della premier: dialogo, fiducia e collaborazione personale ai vertici dello Stato
Il 4 giugno 2024, in Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni ha reso noto di essersi recata dal Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo per consegnare un esposto sui flussi di ingresso in Italia di lavoratori stranieri avvenuti negli ultimi anni avvalendosi del c.d. “Decreti Flussi”. Il fatto è questo. Da alcune regioni, su tutte la Campania, abbiamo registrato un numero di domande di nulla osta al lavoro per extracomunitari, durante il click day, totalmente sproporzionato rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro, siano essi singoli o imprese. Inoltre, a fronte del numero esorbitante di domande di nulla osta, solo una percentuale minima degli stranieri che hanno ottenuto il visto per ragioni di lavoro in base al “Decreto Flussi” ha poi effettivamente sottoscritto un contratto di lavoro. In Campania, meno del 3% di chi entra con un nulla osta sottoscrive poi un contratto di lavoro. Il dato politico di questo comunicato è nelle parole della stessa premier: “È evidente che se – come immagino – da una parte l’autorità giudiziaria aprirà una o più indagini in base agli elementi forniti e farà seguire la necessaria opera di accertamento per il passato, dall’altro lato le soluzioni per fermare questo meccanismo in futuro competono al governo”. Più volte in questa rubrica si è evidenziata la silenziosa ma rivoluzionaria novità che accompagna i rapporti tra i vertici del governo e quelli delle procure più esposte, nelle quali i capi hanno dimostrato di avere il massimo rispetto delle autorità di governo e d’altra parte sono stati efficacemente ricambiati nel corso degli incontri che si sono resi necessari con Giorgia Meloni e con la Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo. Oggi l’immigrazione e quindi l’inclusione dei migranti. I problemi sono di tre ordini: 1. Gli sbarchi, che il governo ha ridotto del 60%, grazie ai rapporti di collaborazione con i paesi del Nord Africa, Tunisia e Libia in testa; 2. I flussi “regolari”, secondo lo spirito della Bossi – Fini e del c.d. decreto Cutro, nel senso che può legittimamente entrare solo chi effettivamente ha un contratto di lavoro. 3. L’integrazione nei luoghi di residenza, che desta problemi soprattutto nelle città e del quale non è qui la sede per dare conto. Del primo si è detto. Il secondo desta maggiori preoccupazioni perché i dati raccolti dal gruppo di lavoro del governo, e mai gestiti sino adesso, rappresentano una situazione gravissima. Da qui l’esposto consegnato personalmente dalla premier che denuncia come i flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati anche come meccanismo per consentire l’accesso in Italia, per una via formalmente legale e priva di rischi, a persone che non ne avrebbero diritto, verosimilmente dietro pagamento di denaro (secondo alcune fonti, fino a 15.000 euro per “pratica”). Sembra implicito l’avvalersi in futuro, da parte del governo, dei risultati delle indagini compiute dalla Procura Nazionale Antimafia, secondo un inedito principio di leale collaborazione e, soprattutto, di piena reciproca fiducia, senza che le scartoffie rimangano sepolte negli scaffali degli uffici amministrativi degli apparati. Si tratterebbe di un dialogo “preventivo” di enorme importanza ed efficacia.
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