Attualità

IN GIUSTIZIA – La Corte di Giustizia Ue e le Big tech

di Francesco Da Riva Grechi -


Il 10 settembre 2024 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sede in Lussemburgo, ha sancito in via definitiva, come già è stato scritto su questa testata, la (probabile) fine del far west digitale in Europa e la soggezione alla legge della Commissione, in materia di concorrenza, anche di colossi come Apple e Google. La “Cassazione Europea” ha affermato, con riguardo alla prima, che gli accordi fiscali con la Repubblica d’Irlanda, i c.d. Ruling, (termine che si può tradurre con “disciplinare”o “accordo quadro”), costituiscono un aiuto illegale di Stato, che quest’ultimo è tenuto a recuperare, confermando così la decisone della Commissione europea 2017/1283 del 30 agosto 2016. La conseguenza pratica è l’obbligo, che viene a gravare su Apple, di restituire almeno 13 mld di Euro.

Con riguardo alla seconda, la Corte conferma l’ammenda di 2,4 miliardi di euro inflitta a Google per aver abusato della propria posizione dominante, favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti, a discapito delle regole concorrenziali del mercato UE, di cui la Commissione è garante di fronte a tutti gli stati dell’Unione. In sintesi, i ruling fiscali sono delle predeterminazioni forfettarie concordate dell’utile di esercizio da tassare e sono stati concessi a due società, Apple Sales International ed Apple Operations International. Con uno di questi ruling, ad esempio, nel 2007, il fisco irlandese aveva approvato un metodo per determinare l’utile netto della filiale irlandese di AOE, Apple Operations International, in base al quale la base imponibile della stessa era pari al % dei costi operativi, oltre ad un reddito da proprietà intellettuale pari a % del fatturato e con riferimento alla tecnologia dei processi di produzione accumulata in Irlanda, esclusi costi quali oneri derivanti da affiliate di Apple e costi dei materiali e calcolando infine una detrazione per ammortamento di immobili e impianti “calcolata e ammessa secondo la normale prassi”. Come già si è letto su questo giornale, la somma effettivamente pagata da Apple al fisco irlandese, tra il 2003 e il 2014, si aggira sui 577 milioni di euro, mentre la decisione del 10 settembre 2024 condanna alla restituzione di ben 13 miliardi di euro e quindi se ne può intuire l’impatto. La Corte di giustizia ha ritenuto che l’immenso vantaggio concesso alle due società del gruppo Apple, Apple Sales International e ad Apple Operations Europe International, costituisse un aiuto di Stato vietato ai sensi degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) perchè incompatibile con il mercato interno, in quanto “concesso tramite risorse statali in modo da poter ostacolare gli scambi fra i paesi dell’UE ovvero ostacolare la concorrenza”.

In particolare, la Corte fa osservare che, mentre gli Stati membri godono di autonomia fiscale in materia di imposte dirette, qualsiasi misura fiscale adottata da uno Stato membro deve essere conforme alle norme dell’Unione sugli aiuti di Stato, che sono vincolanti per gli Stati membri e prevalgono sulle rispettive legislazioni nazionali. L’articolo 107, paragrafo 1, del trattato, secondo l’interpretazione della stessa Corte di giustizia, vieta una misura fiscale che consenta a una società integrata di determinare il proprio reddito imponibile in una maniera che non rifletta l’utile che realizzerebbe in condizioni di libera concorrenza, vale a dire sulla base di prezzi negoziati da imprese indipendenti operanti in circostanze comparabili in condizioni di libera concorrenza. In conclusione, si può affermare che nel diritto giurisprudenziale dell’Unione Europea si conferma la politica della Commissione in materia di concorrenza e quindi si afferma il primato della incompatibilità con la presenza nel mercato interno e soprattutto nel mercato unico digitale di soggetti che rivendicano posizioni di privilegio che abbiano un costo sopportato da bilanci di paesi dell’Unione stessa.


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