IN GIUSTIZIA – Il diavolo è nei dettagli
Ancora sulle recenti decisioni delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea istituite presso 26 Tribunali italiani con il d.l. 17 febbraio 2017, n. 13 (c.d. Minniti – Orlando). Fedeli all’impostazione di questa rubrica, il diavolo si cerca e si trova nei dettagli della procedura, in questo caso cautelare, con la quale si è cancellata immediatamente e drasticamente l’efficacia dei provvedimenti delle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, istituite dal Ministero dell’Interno, senza che in realtà ci fosse alcuna giustificazione sostanziale e senza alcuna motivazione legittima. Come sappiamo invece la Costituzione all’art. 111 stabilisce che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati» ed in ossequio a tale prescrizione il codice di procedura civile esige che la sentenza contenga la concisa esposizione «dei motivi in fatto e in diritto della decisione» e che l’ordinanza sia «succintamente motivata». Se, in fatto, il semplice richiamo al diritto europeo, come già chiarito su questa testata, (sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), non c’entra un bel niente, anche se in astratto riguarda la stessa materia; in diritto, e soprattutto dal punto di vista delle regole processuali, siamo di fronte ad un’abnormità da vero schiaffo alla democrazia e al rispetto del principio della separazione e dell’equilibrio tra i poteri dello Stato. Occorrerebbe quindi un intervento parlamentare che disciplini in modo diverso il potere di queste sezioni di far saltare l’indirizzo politico degli organi costituzionali e del governo per questioni assolutamente evitabili. Bastava in sostanza procedere al rinvio procedurale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per risolvere i fantomatici contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina contenuta nella direttiva 2013/32/UE e più in generale alla regolazione dei rapporti tra il diritto dell’Unione Europea e il diritto nazionale, senza ritenere, sbagliando e sbagliando in mala fede, che non operasse “la deroga al principio della sospensione automatica del provvedimento impugnato” e quindi senza obbligare il governo a reimbarcare i migranti e riportarli in Italia. Come direbbero le Sezioni Unite della Corte di Cassazione: “salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale”.
E invece sembra proprio che si volesse fermare l’azione del governo e impedire la permanenza dei migranti nel centro di Gjader, sicuramente più sicuro di Roma, (e salvi gli ulteriori trasferimenti dall’Albania ai paesi terzi, ipoteticamente da bloccare, se poco sicuri, previo provvedimento motivato) perché si voleva colpire l’azione del governo in una materia nella quale la sinistra è, dal punto di vista elettorale, drammaticamente e definitivamente perdente! Ed è gravemente irresponsabile che un Tribunale decida questioni così delicate senza motivare neanche sull’avvio del procedimento cautelare e impattando con attese di molti mesi su vicende di grande urgenza, che il governo aveva assunto l’impegno di risolvere in pochi giorni e aveva risolto.
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