IN GIUSTIZIA – Elvira Orlandini vittima dimenticata
Rubrica IN GIUSTIZIA: Elvira Orlandini, vittima dimenticata.
di ELISABETTA ALDROVANDI
Le estati italiane sono sempre calde e afose, oggi più che mai. E portano con sé delitti che, a volte, rimangono irrisolti e suscitano un clamore mediatico degno dei migliori gialli dei più famosi scrittori, o dei peggiori casi di cronaca nera. Come il caso di Elvira Orlandini, una contadina di 22 anni trovata cadavere il 5 giugno di molti lustri fa, in quel lontano 1947, quando le macerie della seconda guerra mondiale erano ancora calde e quando il popolo italiano stava imparando il significato della parola “cittadino”, dopo decenni in cui era stato relegato a “suddito”.
La storia di Elvira Orlandini
La giovane, dai lunghi capelli neri e dal corpo sinuoso, era nata a Toiano, in provincia di Pisa, nel 1925, e lavorava come domestica presso la ricca famiglia dei Salt. La sera del 5 giugno, il suo corpo senza vita fu rinvenuto in un bosco. Era stata uccisa mentre attingeva acqua da una fonte, con un taglio che le aveva reciso la gola in profondità, dopo di che l’assassino aveva oltraggiato il corpo con altre coltellate, trascinandolo poi lungo un sentiero attraverso il bosco. Fu il padre a scoprire la figlia poche ore dopo l’omicidio. Alcuni particolari fecero pensare a un’aggressione a sfondo sessuale, per la brutalità dei modi con cui venne attuata, e perché a Elvira erano state tolte le mutandine. Tuttavia, il colpevole non aveva lasciato alcuna traccia determinante, poiché nessun testimone si fece avanti così come l’arma del delitto non fu mai trovata, svanita per sempre assieme alla vita della giovane.
I sospetti caddero su alcune persone frequentate da Elvira, tra cui un parente, il figlio di una famiglia romana trasferita a Toiano, e il fidanzato della ragazza, Ugo Lancillotti, su cui convogliarono le indagini: era veterano di guerra e coetaneo della ragazza, e quindi, presumibilmente, con dimestichezza nell’uso delle armi e una forza fisica sufficiente a spostare il cadavere. Durante le indagini emersero altri particolari, che scivolarono nel più becero pettegolezzo, come il fatto che Elvira fosse incinta di un uomo sposato, fatto che avrebbe confidato a una sedicente maga. Tuttavia, l’attenzione mediatica e giudiziaria si soffermò sul fidanzato, che fu arrestato perché si ritenne che si fosse recato sul luogo del delitto prima che qualcuno lo avesse avvertito del posto in cui si trovava il cadavere della giovane, e per alcune macchie di sangue rinvenute sui suoi pantaloni. Si seppe, inoltre, che la coppia aveva avuto divergenze e che già in alcune occasioni la relazione era stata interrotta per motivi di gelosia collegati al Lancillotti.
Il processo, che ebbe fortissimo impatto sull’opinione pubblica, iniziò nel 1949, e l’imputato fu difeso gratuitamente dall’avvocato e parlamentare Giacomo Picchiotti, che considerava quel patrocinio come un atto di generosità verso un poveraccio. Furono molti, nel popolo, a schierarsi a favore o contro: il caso divenne così famoso che ad alcune udienze presenziarono addirittura duemila persone. Tuttavia, l’impianto accusatorio era inconsistente: le impronte di scarpe trovate vicino al cadavere erano del numero 40, mentre l’imputato portava il 43. Inoltre, la dimensione ridotta delle macchie di sangue sui suoi abiti era incompatibile con quelle prodotte durante un simile ed efferato delitto.
Anche l’unica prova a favore della sua colpevolezza, ossia che si fosse recato sul luogo dell’omicidio da solo, crollò di fronte al fatto che il luogo si trovava lungo la strada che da casa sua portava a quella della fidanzata, e quasi per caso vide il capannello di persone intorno al corpo. Pertanto, la richiesta del procuratore generale a diciotto anni di reclusione venne rigettata, e Lancillotti assolto per insufficienza di prove, sentenza poi confermata in appello. Il 30 marzo del 2013, a 91 anni, Ugo Lancillotti morì, portando con sé i suoi quasi settant’anni di proclamata innocenza, due sentenze a conferma, e un colpevole che ha vissuto il resto della sua vita senza pagare per l’orribile omicidio commesso.
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