IN GIUSTIZIA – A proposito di Ventotene e di nuova sinistra
La buona idea, a parere di chi scrive, della premier Giorgia Meloni, di ricordare quale fosse il programma del Manifesto di Ventotene, che nei contenuti sicuramente estrapolati, ma comunque fondamentali, avrebbe potuto essere benissimo un comunicato delle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro, ha scatenato un vespaio.
D’altronde la situazione rivoluzionaria della quale parlano Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, ai quali nessuno vuole togliere il ruolo di Padri dell’Europa, per esempio accanto al meno fantasioso Palmiro Togliatti, va collocata in un contesto (bellico) di profonda eversione di qualsiasi ordine. Si legge nel Manifesto (testo del Senato): “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nella rivoluzione russa, tedesca, spagnola, sono tre dei piùrecenti esempi – e non si cita quella italiana, fascista – ed inoltre: La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria. Infine: la rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista (…). La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno (…). La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio”.
In sostanza è un testo prigioniero della amara e retorica dialettica rivoluzione – reazione, buono per una critica dall’interno all’ideologia marxista.
In quegli anni (il Manifesto è del 1941) il movimento comunista (o del socialismo reale) si stava muovendo in tutto il mondo per preparare il dopoguerra ed infatti il successo del Manifesto va collocato nella narrativa successiva, celebrativa della caduta del fascismo e della trattativa con l’Unione Sovietica vincitrice per rafforzare le chance di conquista del potere del fronte popolare, costituito da socialisti e comunisti uniti alle elezioni del 1948. Nella stessa direzione, il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 fu una resa incondizionata, non alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti, all’Unione Sovietica, bensì alla misera Jugoslavia del rivoluzionario leader della “lotta partigiana” Maresciallo Tito, alla quale andarono l’Istria, il Carnaro, la provincia di Zara e la maggior parte della Venezia Giulia, il Carso e l’alta valle dell’Isonzo fino a Salcano, in precedenza facenti parte dell’Italia.
Strategia “rivoluzionaria” togliattiana che costò ai patrioti italiani l’esodo giuliano – dalmata con le sua migliaia di morti. Il punto è che la stessa lotta contro la proprietà privata e l’interesse nazionale sembra centrale nella strategia della nuova sinistra che oggi si presenta in televisione sostenendo che “occupare le case non è reato”. Guerra alla “prassi democratica” che “fallisce clamorosamente” secondo la brillante prosa rivoluzionaria di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, dove la prassi è quella che si fonda sulla tutela della vita, della libertà e della proprietà secondo i principi del liberalismo patriota.
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