L’impresa impossibile per giovani e donne
Amministrare un’impresa è impossibile per i giovani e per le donne. Le leve economiche del Paese restano saldamente in mano ai maschi più anziani. In Italia, o meglio nei Consigli d’amministrazione delle società quotate, non c’è posto per gli under 40. Che, in totale, sono addirittura meno degli ultra-ottantenni. Va meglio per le donne, ma più che un successo è uno specchio deformato. Sì, è vero, le quote rose nei Cda diventano sempre più importanti. Ma le donne rappresentano soltanto il 9% dei consiglieri con funzioni esecutive, cioè che “contano” e possono prendere decisioni vincolanti e decisive. E va ancora peggio se si fa la conta degli amministratori delegati: si contano sulle dita di una mano.
I grandi vecchi
I dati del 28esimo Board Index di Spencer Stuart restituiscono l’immagine di un Paese avvitato su se stesso, il ritratto della conservazione. E questa cosa, alla lunga, rischia di nuocere all’innovazione, perché ai più anziani mancano le competenze, e in certi casi anche la sensibilità, per comprendere appieno le potenzialità di sviluppo legate al digitale e alle nuove tecnologie. I numeri parlano da soli. L’età media dei membri dei consigli d’amministrazione è di 59,2 anni. Se si prendono in considerazione le fasce d’età non c’è storia. Il 42% dei consiglieri ha un’età compresa tra i 51 e i 60 anni. Rilevante la presenza nei Cda della fascia 61-70 anni, che si attesta sul 33 per cento del totale. Staccatissimi gli infracinquantenni: solo l’11% dei consiglieri ha un’età compresa tra i 41 e i 50 anni mentre il 10 per cento dei membri dei Cda italiani ha tra i 71 e gli 80 anni. Infine, è più che eloquente il fatto che gli over 80 siano di più degli under 40: i “nonni” rappresentano il 3% dei consiglieri mentre gli juniores arrivano appena al 2 per cento. Le donne, con un’età media di 57,4 anni, sono più giovani degli uomini (60,5 anni).
Donne Ceo cercasi
Non va meglio per gli amministratori delegati. Hanno un’età media più bassa rispetto ai presidenti di Cda (57,9 contro 64,6). Ma qui le donne non toccano palla. I dati sono devastanti: nel campione di imprese passate al setaccio da Spencer Stuart, ci sono appena cinque donne Ceo rispetto a 109 colleghi uomini. In pratica, solo il 4%. Una percentuale che sprofonda a zero nel segmento Ftse Mib. In pratica, almeno in Italia, ci sono più amministratori delegati di cittadinanza estera (7%) che signore alla guida delle società. Insomma, fare impresa in Italia è, letteralmente, un’impresa (impossibile) per donne e soprattutto per giovani. Ammesso e non concesso che a 40 anni si possa ancora essere considerati dei giovincelli. E per le donne, a fare la differenza, è solo il fatto che leggi e regolamenti impongano la presenza del “genere meno rappresentato” almeno per il 40 per cento dei Cda.
Successione e innovazione
Ma il vero problema, in Italia, è ancora un altro. E Spencer Stuart lo mette in rilievo. In Italia pochissime aziende hanno predisposto dei piani di successione per gli amministratori. Gli analisti osservano che, in questo caso, pesa il solito approccio procrastinatore: finché non diventa un’emergenza, si continua così. Ma questa è dietro l’angolo. In prima battuta perché il rischio di una mancata programmazione rischia di paralizzare l’attività stessa delle imprese. In secondo luogo perché la mancanza di forze nuove, a cui dare il tempo di studiare e prepararsi per entrare in carica svuota le aziende di nuove energie. In pratica, i vertici delle imprese restano tali, si potrebbe dire vita natural durante, e avvitano l’economia italiana su se stessa. Con il rischio di perdere i treni, oggi fondamentali per garantirsi un futuro in un’epoca di transizione globale, della competitività internazionale.
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