Il vicolo sordo
Il vicolo sordo
di TOMMASO CERNO
Le dispiace per chi se ne va dal Pd, ma forse l’indirizzo lo avevano sbagliato prima. E’ così che Elly Schlein reagisce all’ennesima fronda interna di chi la accusa di isolare il Partito Democratico su posizioni troppo a sinistra. Il problema di questa analisi è che entrambi sono due grandi miraggi. Il Partito Democratico non sta affatto a sinistra, ma sta in un’area antidestra sempre e comunque. E’ proprio questo che dà a Elly Schlein da una parte e ai riformisti o presunti tali dall’altra un costante senso di labirintite ormai da molti mesi.
L’unica collocazione che oggi i dem sono in grado di affermare riguarda il tentativo di definire un campo opposto a quello del premier. E fino a quando in campagna elettorale l’illuminato ex segretario Enrico Letta aveva il fascismo come pallino in testa, in qualche modo poteva anche sembrare che la collocazione fosse quella adatta. Ma con il passare dei mesi il Pd ha finito per diventare una sorta di antagonista frignone a un governo che invece mantiene un saldo legame con un’area moderata italiana che ha dato a Giorgia Meloni una chance e che non ritiene sia ancora giunto il momento dell’esame. Lo dimostra nei sondaggi che vedono il partito del premier sopra il 30% a distanza ormai di un anno quasi dalle elezioni politiche. E va ricordato, perché in questo Paese senza memoria siamo capaci anche di leggere che Fratelli d’Italia sta scendendo nei sondaggi, che alle elezioni politiche Giorgia Meloni era sotto il 30%, e nemmeno di pochi punti, quindi si tratta di una crescita che è avvenuta dopo l’insediamento al governo.
E se guardiamo lo storico degli ultimi anni ci rendiamo conto che la situazione dei bilanci ingessati al debito pubblico che impediscono a Palazzo Chigi di agire con forza distribuendo denaro aveva sempre penalizzato i partiti che dall’opposizione si trasferivano alla guida del Paese e lentamente favorito chi invece non aveva incarichi di governo. Se a distanza di un anno questo fenomeno ancora non si vede e nei sondaggi il Partito democratico resta attorno a quel 20% strutturale che in qualche modo ha sempre conquistato nell’era moderna della politica, significa che la ragione per cui non decolla il progetto alternativo a quello della destra non sta nelle cose che vengono dette, ma in quelle che vengono taciute.
In particolare la posizione che questa presunta sinistra che avrebbe l’indirizzo giusto per potersi proclamare portavoce dei valori che storicamente hanno animato i progetti dei progressisti italiani tiene sulla guerra in Ucraina. Cascata dal primo giorno nella lezione ufficiale secondo la quale ci sarebbero dei paesi democratici che con tutti i mezzi possibili difenderebbero un paese democratico dal rischio di una dittatura, senza impegnarsi a fondo e con tutte le forze per definire quel conflitto fuori dalla storia e del tutto inutile se non deleterio per raggiungere il fine di una pace e di un ripristino della sovranità ucraina, il Pd ha rinunciato a parlare con un’ampia parte della sua storia e degli italiani, che provengono davvero dalla cultura che a parole la sinistra ufficiale oggi professa in antitesi alla destra di Meloni.
Una scelta di questo tipo lascerebbe intendere che la linea naturale che i democratici stanno cercando di seguire è quindi quella di riunificare verso l’area più moderata, riformista, capitalistica, bancaria, matrimoniale quel poco che resta della sinistra di governo tanto osannata ai tempi di Tony Blair e Barack Obama. Ma invece nemmeno questo sta avvenendo. Anzi il Pd ha alzato una guerra non soltanto contro il governo tacciato di rappresentare il 5% di quegli italiani che invece l’hanno votato, ipotecando così una dialettica con quella borghesia che ha scelto di cambiare dopo la disastrosa esperienza della scorsa legislatura e la sostanziale neutralità nei fatti del governo di Mario Draghi, ma ha lasciato aprire uno spazio al centro intestandosi una guerra materiale contro Matteo Renzi, che era politicamente finito in un angolo, e che è resuscitato grazie a questo odio personale che i dirigenti del Pd ancora nutrono nei confronti dell’ex segretario che nella storia della sinistra aveva portato a casa, piaccia o meno, il risultato più alto della storia per quel partito nato con la supponenza di voler essere maggioritario e che invece oggi naviga attorno percentuali che hanno bisogno di grandi coalizioni attorno per poter sperare anche solo di avvicinarsi a un governo.
Ed ecco che finiti da soli in un angolo che si sono costruiti, le uniche cose che si vedono sono le solite risse fra dirigenti, che devono tenere il piede in due scarpe, sorridere alla segretaria Schlein ma tenersi buoni gli sconfitti del congresso, in caso di golpe dirlo e i soliti temi che la sinistra mette in campo quando non sa più che strada seguire. E così non si risponde alle grandi domande, e cioè come è pensabile una società con maggiore uguaglianza sociale quando i salari più bassi d’Europa confliggono con gli impegni militari sempre più grandi che la sinistra ufficiale sottoscrive ormai da due anni e che ritiene evidentemente più importanti della redistribuzione di risorse nelle famiglie italiane ridotte allo stato di povertà da una situazione internazionale che non ci dà la possibilità di credere davvero in un boom economico in tempi brevi.
Così come i tagli alla sanità, che arrivano proprio negli ultimi 10 anni che hanno visto al governo il Pd per quasi l’ottanta per cento del tempo, possano improvvisamente trasformarsi in investimenti virtuosi sotto l’idea della cattiva sanità privata che arriverebbe come il granchio blu a mangiarsi questa straordinaria struttura fondata nel 1978 e distrutta lentamente dal 2010 in poi: il sistema sanitario nazionale che fu. Entrando così in un vicolo che non è affatto cieco, perché la direzione per costruire un’alternativa al governo è lì davanti agli occhi della sinistra. Ma un vicolo sordo perché non ascolta il grido di un popolo che si è sparpagliato non a causa degli errori di Giorgia Meloni, ma perché non trova più se stesso nelle grandi questioni di fondo che la sinistra giudica meno importanti dell’insulto agli avversari.
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