Politica

Il Veneto resta Lega, Mario Conte è il dopo Zaia e FdI prenota Milano

di Ivano Tolettini -


La partita politica sul terzo mandato è chiusa: il primo a prenderne atto è Luca Zaia che con realismo l’altra sera prima di entrare negli studi di Restart, su Rai3, chiosa: “Non è che ci perdo il sonno: deciderò che cosa fare quando capirò che cosa hanno deciso di fare, mettiamola così”. Poco prima Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, aveva sottolineato: “Il terzo mandato è una oggettiva concentrazione di potere per troppo tempo nelle mani di un solo individuo ed è il motivo per cui anche nel premierato la proposta della maggioranza non prevede il terzo mandato ma si limita a due, a dimostrazione del fatto che c’è una coerenza in questo”. Quindi aveva concluso per chiarire il concetto: “In Veneto e Toscana, come facciamo da trent’anni, troveremo una sintesi”. La partita è davvero chiusa, allora? Sì, perché come riportavano nei giorni scorsi alcuni quotidiani Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sono incontrati dopo l’incidente di percorso della pubblicazione delle chat dei parlamentari di FdI – che non è stata presa bene dalla premier – in cui il leader leghista era il bersaglio preferito degli alleati, per convenire che archiviata la questione terzo mandato, sul futuro del Veneto l’accordo politico del dopo Zaia prevede il mantenimento di una guida leghista, ma senza la presentazione della lista dell’ex governatore. FdI perciò è destinato ad eleggere il maggior numero di consiglieri e ad avere un peso decisivo in giunta. Il profilo del candidato giusto non può che essere quello del sindaco di Treviso, Mario Conte (nella foto), zaiano doc, attuale presidente dell’Anci veneta, apprezzato per la diplomazia con cui gestisce le tensioni tra alleati. Del resto, a Roma come a Venezia, c’è la consapevolezza in FdI di non avere un candidato forte: l’europarlamentare Elena Donazzan e il senatore Luca De Carlo, presentano entrambi punti di forza e di debolezza che i sondaggi certificano. Sono apprezzati ovviamente nel partito, ma nel perimetro del centrodestra incontrano mal di pancia. In particolare la divisiva Donazzan che sconta posizioni passate di destra-destra, che mal si conciliano con il moderatismo dei veneti. Mario Conte, invece, è stimato anche dall’opposizione, perché cerca sempre di unire e trovare la soluzione dei problemi in modo pragmatico. La scorsa settimana dopo che Zaia è uscito di nuovo allo scoperto sul fine vita, avanzando la proposta di un regolamento regionale per ovviare alla carenza di una legge, Donazzan gli ha risposto a muso duro ricordandogli che il Consiglio regionale un anno fa aveva respinto (per un soffio) la sua proposta, senza però rendersi conto che nel frattempo i sondaggi registrano che la stragrande maggioranza degli elettori di centrodestra (anche di FdI) sono favorevoli al suicidio assistito. Tanto che Salvini ha riposto la spada nel fodero. E in un salotto televisivo il segretario regionale leghista Alberto Stefani, l’omologo di FdI De Carlo e il coordinatore azzurro Flavio Tosi hanno convenuto che valore irrinunciabile è la coalizione del centrodestra, perché così vogliono gli elettori. “Le divisioni non verrebbero giustificate”, hanno ribadito, convenendo che tramontata l’ipotesi terzo mandato, toccherà a Meloni e Salvini siglare il patto. Certo, a nessuno sfugge che FdI è il primo partito in tutte le regioni del Nord, come hanno confermato le Europee, e a fronte di un passo indietro per il governatore serenissimo, per forza di cose ci dovrà essere un riallineamento quando si voterà in Friuli Venezia Giulia, Trentino e soprattutto in Lombardia, regioni governate dai leghisti Fedriga, Fontana, Fugatti, i quali nel 2028 non potranno ricandidarsi. Ma Fratelli d’Italia aspetterà così a lungo per riscuotere in termini di potere le credenziali che ha ricevuto dall’elettorato già nel 2022? Nel 2027 si rinnoverà il Parlamento, nel frattempo le tre riforme cardini del programma del centrodestra (separazione delle carriere dei magistrati, autonomia e premierato) saranno passate al vaglio dell’aula e la prima dovrebbe essere stata scrutinata dal popolo col referendum confermativo. Insomma, se è vero che nel lungo periodo in politica tutto dev’essere ridiscusso, è altrettanto vero che il dopo Zaia è già avviato e FdI non vuole logorarsi in un braccio di ferro dispersivo, preferendo una prospettiva più ampia e confidando sulla duttilità della leadership di Meloni, le cui priorità adesso sono altre: a cominciare dallo scontro Trump-Europa, che ridisegnerà la geografia del potere in Occidente. Le regionali sono ancora lontane.


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