Il Vaticano e la verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi
di Rita Cavallaro -
La data finalmente c’è. E la speranza che si possa arrivare alla verità pure. Perché per la prima volta in quarant’anni si muove il Vaticano sul caso di Emanuela Orlandi, la 15enne svanita nel nulla da Roma il 22 giugno 1983. Che il vento fosse cambiato lo si era intuito lo scorso 9 gennaio, quando il Tribunale della Santa Sede aveva aperto un fascicolo sulla vicenda della cittadina vaticana. Una circostanza mai accaduta e resa possibile da una congiuntura di eventi che vede intrecciarsi intrighi tra due cellulari riservati del Vaticano, dalle cui chat del 2014 emergono nomi pesanti, perfino quello di Papa Francesco e del cardinal Abril, all’epoca presidente della Commissione cardinalizia dello Ior. Due interlocutori misteriosi che parlano della Orlandi, di “tombaroli” e della stanza sotterranea del cimitero Teutonico, costruita in cemento armato e ritrovata vuota quando una gola profonda l’aveva indicata come il luogo in cui giacevano i resti della ragazza. Conversazioni consegnate nelle mani di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela che non solo non si è mai arreso, ma ha puntato così tanto in alto da inviare una lettera a Bergoglio, lo stesso Papa che, subito dopo l’elezione al soglio pontificio, aveva confessato a Pietro: “Emanuela è in cielo”. Francesco, di fronte alla richiesta d’aiuto, non era rimasto silente, ma aveva risposto alla famiglia, indicando a Pietro la strada da seguire per trovare le risposte: condividere i nuovi elementi di prova con il tribunale vaticano. “Valuteremo gli elementi e decideremo se è il caso di aprire un’inchiesta. Quando ci hanno chiesto di aprire una tomba l’abbiamo fatto perché, secondo quello che ci avevano raccontato, erano notizie sicure. Abbiamo fatto un accertamento costoso e molto analitico e sappiamo com’è finita. Pietro ogni anno ha una nuova verità, ma adesso i tempi li dettiamo noi, decidiamo noi con serenità e senza pregiudizi”, aveva dichiarato in esclusiva a L’Identità il promotore di giustizia aggiunto del Vaticano, Alessandro Diddi, all’indomani dell’anniversario della scomparsa di Emanuela. Un duro colpo per la famiglia, perché quelle parole sembravano allontanare la possibilità che la Santa Sede potesse indagare sul contenuto dei whatsapp dei cellulari intestati al Vaticano. Ma, probabilmente, in quelle conversazioni ci sono indizi concreti, vista l’apertura di un fascicolo mai neppure presa in considerazione in precedenza. Un avvenimento storico non certo fine a se stesso. Pietro e il suo legale Laura Sgrò sono stati adesso convocati per essere ascoltati. Ad annunciarlo è stata la Santa Sede. L’Ufficio del promotore di giustizia martedì prossimo “riceverà il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro”, ha detto il portavoce del Vaticano Matteo Bruni. “L’incontro è stato richiesto da quest’ultimo, che sarà accompagnato dal proprio avvocato, al fine di rendere proprie dichiarazioni e offrire eventuali informazioni in suo possesso nell’ambito del fascicolo aperto dal promotore di giustizia Vaticano a gennaio di quest’anno, a seguito di alcune recenti dichiarazioni sulla scomparsa della sorella”. L’Ufficio “conferma la volontà della Santa Sede di fare chiarezza sulla vicenda, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Pietro Orlandi, intraprendendo ogni azione possibile al fine di giungere ad una ricostruzione accurata degli eventi, per quanto di propria competenza”. La famiglia Orlandi è fiduciosa e chiederà che vengano sentite per la prima volta alcune persone, ancora in vita, che potrebbero dare una svolta all’inchiesta. “Porteremo tutte le informazioni che abbiamo. Speriamo e crediamo”, ha sottolineato Pietro, “nella volontà del Papa di fare chiarezza. Emanuela dopo 40 anni deve tornare a casa”.